All’uomo che gli chiede che cosa può fare per “avere in eredità la vita eterna”, Gesù chiede di lasciare tutti i suoi beni e di seguirlo. Alla reazione delusa del suo interlocutore, Egli propone agli apostoli la celebre riflessione: “E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno di Dio”. Da questo episodio del Vangelo di Marco (Mc 10,17-30) prende spunto l’omelia di don Maurizio Chiodi, assistente spirituale nazionale di Ai.Bi. Amici dei Bambini e de “La Pietra Scartata” per domenica 11 ottobre.
PRIMA LETTURA Dal libro della Sapienza Sap 7,7-11
Pregai e mi fu elargita la prudenza,
implorai e venne in me lo spirito di sapienza.
La preferii a scettri e a troni,
stimai un nulla la ricchezza al suo confronto,
non la paragonai neppure a una gemma inestimabile,
perché tutto l’oro al suo confronto è come un po’ di sabbia
e come fango sarà valutato di fronte a lei l’argento.
L’ho amata più della salute e della bellezza,
ho preferito avere lei piuttosto che la luce,
perché lo splendore che viene da lei non tramonta.
Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni;
nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile.
SECONDA LETTURADalla lettera agli Ebrei Eb 4,12-13
La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore.
Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto.
VANGELO Dal Vangelo secondo Marco Mc 10,17-30
In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”».
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà».
E’ proprio vero quello che dice, nella seconda lettura, l’autore della lettera agli Ebrei: «La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio».
E’ un’immagine forte, che ci richiama un coltello tagliente, incisivo, affilato.
Ecco, così è la Parola di Dio: entra in noi, nel nostro profondo, ci tocca nelle corde intime del nostro spirito, va al centro – «alle midolla»! – della nostra vita e mette a nudo i nostri sentimenti e pensieri e ci aiuta a discernerli. Facendoli emergere, venire a galla, ci permette di distinguere quelli buoni da quelli cattivi, quelli belli da quelli brutti, perché meschini, avidi, egoisti.
E’ proprio così, se noi ci mettiamo con questa disponibilità dinanzi alla Parola di questo Vangelo. E’ una scena bellissima, folgorante, ma anche dolorosa.
Il Vangelo di Marco parla di un uomo, «un tale», di cui non dice il nome e nemmeno l’età, che con grande slancio ed entusiasmo, mentre vede Gesù passare per la strada, gli corre incontro e si getta «in ginocchio davanti a lui».
Immaginiamoci questo ‘faccia a faccia’ tra questo uomo che arriva tutto di corsa e Gesù, che sta lì in piedi, davanti a lui.
Ai gesti del corpo si accompagna una parola che è altrettanto forte e bella: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?».
Questa domanda è espressione di un desiderio radicale, perché va alla ‘radice’ della nostra vita: è il desiderio della pienezza, della totalità, è il desiderio della felicità.
Questo è la ‘vita eterna’: la bellezza di una vita che nulla e nessuno ti può togliere, una vita nell’eternità di Dio! Questo desiderio ‘brucia’ nell’animo di ogni uomo, anche di chi credente non è. Al ‘cuore’ della nostra vita c’è questo ardentissimo desiderio di un bene che ci riempia, che ci dia consolazione, speranza, felicità.
Se si spegne questo desiderio, sono dolori!
In più, nel Vangelo, quest’uomo riconosce che Gesù è buono e quindi è a lui che rivolge la sua domanda. Lo interroga perché intuisce che Gesù conosce la risposta alla sua domanda.
Questo è un prezioso insegnamento anche per noi.
Non possiamo tenere solo per noi il nostro desiderio di bene, ma occorre che ne sappiamo parlare con la persona giusta. La domanda giusta alla persona giusta o, meglio ancora, la domanda buona alla persona buona.
Così, ad esempio, la confessione o l’accompagnamento spirituale, sono dei momenti preziosi nella vita. E’ lì che possono emergere con verità ‘davanti a Dio’, anche i nostri sentimenti e desideri più profondi, non solo quelli oscuri, difficili, contorti o cattivi, ma anche e soprattutto il desiderio di bene, di bontà e di bellezza che anima la nostra vita.
E invece sono pochi i cristiani – e sono anche pochi i preti davvero disponibili a farlo – che cercano, nella ‘confessione’ o Penitenza e ancor meno nell’accompagnamento spirituale, di arrivare «fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino … alle midolla», per discernere!
Tornando a questo Vangelo, la risposta di Gesù alla domanda essenziale di quest’uomo è davvero fulminante: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo». E’ vero. Solo Dio è buono e nessuno di noi dovrebbe mai cadere nello stupido orgoglio di mettersi al posto di Dio, come se noi potessimo sostituirlo. Solo Dio è buono.
Questa è una parola molto consolante. E Gesù chiede a quest’uomo perché lui lo abbia chiamato ‘buono’. Sembrerebbe quasi, qui, anche che Gesù si schermisca, dica che non lui, ma solo Dio.
C’è, in questa parola, di Gesù, naturalmente, un significato più profondo, quasi nascosto, con pudore. Noi sappiamo bene infatti che Gesù è Dio e dunque che Gesù è buono. Lui è la bontà di Dio fatta carne.
Poi Gesù a quest’uomo richiama i comandamenti, quasi a dire: quella è la via per la felicità, per la pienezza della vita.
In effetti, quei precetti, donati da Dio al suo popolo, custodiscono nella nostra vita la possibilità di relazioni buone.
Ascoltare queste parole è molto più che osservare materialmente delle regole: è godere già fin da ora di una buona relazione con e per l’altro!
Ma è quest’uomo che, quasi insoddisfatto di questa risposta e come per sollecitare qualcosa d’altro, rilancia, non più con una domanda, ma con una constatazione, che però nasconde, di nuovo, una domanda: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». E’ come se quest’uomo dicesse: “tutto questo va bene, ma non basta! Io cerco qualcosa di più. Mi manca ancora qualcosa”.
Allora arriva il punto culminante di tutto il racconto: «Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò».
Questi due uomini già si stavano guardando. Ma qui, adesso, per quest’uomo c’è un passo in più. Gesù lo fissa negli occhi, guarda proprio lui, con intensità, Occhi negli occhi.
E’ una scena unica nel Vangelo.
Devo confessarvi che tante volte avrei desiderato di essere al posto di quell’uomo. Essere guardato così con intensità e in modo personale da Gesù!
Eppure non è questo quello che accade proprio nella preghiera? E’ vero che quando siamo in chiesa, davanti al tabernacolo o nella nostra stanza davanti a un’icona, noi non vediamo e sentiamo gli occhi di Gesù su di noi, ma non è questo quello che accade?
Quello sguardo di Gesù è lo sguardo di Dio, che ci ama, si fa vicino, stabilisce con noi un legame indissolubile.
Allo sguardo di Gesù si accompagna una parola incisiva: Gesù rivela a quest’uomo ciò che gli mancava e in fondo ciò che mancava alla Legge.
Gli chiede di seguirlo, di andare da lui e di andargli dietro, stando con lui, per sempre: «e vieni! Seguimi!».
Seguirlo significa trovare in lui ciò che di più prezioso possiamo desiderare. Per questo tutto il resto non conta più nulla. Per questo Gesù dice di darlo ai poveri. Gesù chiede a quest’uomo di dare le sue ricchezze a chi non ne ha. Gli chiede di condividerle, perché egli ha la possibilità di trovare un tesoro infinitamente più prezioso.
E’ il tesoro della Sapienza.
La prima lettura descrive benissimo come la sapienza sia preferibile a tutto: al potere, alla ricchezza, alle gemme, all’oro, all’argento, alla bellezza e perfino alla salute.
Chi accoglie la sapienza, con essa possiede tutti i beni.
Ma l’uomo del Vangelo, nel racconto, si fa «scuro in volto». Se ne va. Triste, «rattristato». Non ha il coraggio di lasciare i suoi beni.
Segue poi un intenso dialogo tra Gesù e i suoi discepoli.
E’ difficile, dice Gesù, «per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!».
Infatti facilmente i beni della terra, che pure sono beni, diventano delle trappole, perché noi dimentichiamo che ci rivelano il Donatore.
Ai discepoli, che sono sconcertati e stupiti, Gesù dice che ciò che è impossibile agli uomini – «che un cammello passi per la cruna di un ago» – non è invece impossibile a Dio: «Perché tutto è possibile a Dio».
Allora, lasciamoci raggiungere da questo sguardo d’amore, che penetra in noi, fino «alle midolla».
In questo sguardo troveremo il nostro tesoro.