Ecco perché quei 4 milioni di rifugiati non avrebbero mai voluto lasciare la Siria

Siria rifugiati okArriva anche quest’anno, puntuale, il drammatico aggiornamento del numero di rifugiati siriani che sono scappati dalla guerra per riparare nei paesi circostanti: solo 10 mesi fa erano 3 milioni, ora – secondo le ultime stime dell’UNHCR, l’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite  –  hanno ampiamente superato i 4 milioni. In meno di un anno, oltre un milione di persone sono state costrette a uscire dai confini nazionali, alla ricerca di condizioni di vita migliori. Si parla di centinaia di migliaia di famiglie, il cui futuro appare inevitabilmente incerto e oscuro, considerate le molteplici incognite legate al loro precario status socio-economico.

Numeri impressionanti, che però non sembrano impressionare nessuno, proprio perché sono solo numeri. Un gioco di parole, quasi uno scioglilingua, che però esprime una verità sin troppo evidente: il destino dei siriani ci interessa poco o nulla. A dispetto del fatto che, secondo l’ONU, abbiano dato vita alla “più grande popolazione di rifugiati causata da un singolo conflitto in una sola generazione.” A noi suona giusto come un titolo buono per un trafiletto a fondo pagina, e poco altro.

Non c’è record o primato del dolore – pare – capace di indurci a riflettere davvero su quello che sta accadendo in Siria, o a chiederci cosa possiamo fare concretamente per limitare questa inarrestabile, tragica emorragia di disperati che fuggono dalla guerra. Una fuga che sarebbe sin troppo facile e comodo giustificare con motivi legati alla sicurezza: le famiglie siriane non lasciano il proprio paese solo ed esclusivamente a causa degli scontri, dei bombardamenti e delle violenze, ma anche e soprattutto per l’impossibilità di accedere a servizi essenziali alla propria sopravvivenza. Quando ai tuoi figli mancano il cibo, le medicine e l’educazione di cui hanno bisogno, non hai altra scelta se non quella di andartele a cercarle altrove. E spesso finisce pure per rivelarsi una scelta sbagliata.

Questa carenza, al momento, può essere compensata solo attraverso l’invio di aiuti umanitari o l’attuazione di progetti e programmi di supporto alle comunità locali, all’interno della Siria. Che è esattamente il genere di intervento che le ong internazionali, come Amici dei Bambini, stanno realizzando ormai da anni, con l’obiettivo di tamponare una crisi che giorno dopo giorno assume proporzioni sempre più catastrofiche, e che si ripercuote – come ben sappiamo – ben al di fuori dei confini regionali.

È difficile, per chi come noi si sente minacciato dal fenomeno migratorio, comprendere una verità essenziale: che i siriani non hanno mai scelto di lasciare il proprio paese e che, anzi, sono un popolo profondamente legato alla propria terra e alle proprie tradizioni. Al punto che molti di loro, appena se ne presenta l’occasione e le condizioni lo permettono, fanno rientro alle proprie case. Quello che non capiamo, è che se messi in condizioni di accedere a beni e servizi primari, i siriani accetterebbero persino il rischio di morire sotto le bombe, pur di vivere nel paese che amano e dove vorrebbero costruirsi un futuro. E’ l’impossibilità di sfamare se stessi e i propri figli che li convince a partire e a lasciarsi tutto alle spalle, intraprendendo viaggi rischiosi verso l’ignoto.

Chiedetene conferma a qualunque siriano, come ho fatto io stesso con i miei amici rifugiati qui in Turchia, e vi risponderanno tutti allo stesso modo: «Non avremmo mai voluto lasciare le nostre case, i nostri amici, i nostri parenti. Un giorno, quando la guerra sarà finita, torneremo in Siria, inshallah. O in quel che ne rimarrà

 

Luigi Mariani
Country coordinator di Ai.Bi. in Siria

 

Ai.Bi. ha lanciato la prima campagna di Sostegno a Distanza per aiutare le famiglie siriane a restare nel proprio paese e continuare a crescere i propri figli in condizioni dignitose, nonostante la grave crisi. Cibo, salute, scuola, casa, gioco: queste le cinque aree d’intervento. Per avere maggiori informazioni sull’iniziativa e per dare il tuo contributo, visita il sito dedicato.