Giuseppe accetta di diventare padre di un figlio non suo… e così nasce la speranza della salvezza per ognuno di noi

angelo_sangiuseppeIn occasione della IV Domenica di Avvento, la riflessione del teologo don Maurizio Chiodi prende spunto dai brani de libro del profeta Isaia (Is 7,10-14), della Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 1,1-7) e del Vangelo secondo Matteo (Mt 1,18-24).

 

Siamo ormai giunti all’ultima domenica e all’ultima settimana prima del Natale, una settimana intera, quest’anno!

Siamo alle soglie del Natale.

La prima lettura e il Vangelo hanno come protagonisti due uomini, Acaz, uno dei re della storia di Giuda, e Giuseppe, un «uomo giusto» e «figlio di Davide», perché suo discendente.

Queste due figure incarnano due modi opposti di ‘stare’ davanti a Dio e di mettersi in relazione con lui: il primo, questo re di Giuda, è l’immagine plastica di un uomo chiuso, dominato dalla paura, un uomo che conta solo su se stesso, sulle proprie forze, tutto preso dai suoi calcoli politici e strategici.

È stato attaccato da due altri re vicini, che volevano espugnare Gerusalemme, per togliergli il regno. Oltretutto questo re non aveva figli, non aveva discendenza.

Ecco, in questa situazione difficile e drammatica, il profeta lo invita a fidarsi di Dio, lo invita a credere: solo in questo modo lui e il suo regno resteranno saldi.

Nel testo che abbiamo ascoltato oggi è il Signore stesso che chiede a Acaz, re di Giuda, di chiedere a lui un segno.

Sappiamo tutti che cos’è un segno: può essere un evento o una cosa o una persona che ci fa pensare a qualcos’altro.

In questo caso è Dio stesso che sembra offrire al re un segno, perché gli chiede di chiederlo.

Ma Acaz risponde a Dio non fidandosi di lui: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore».  A parole, il re dice di fidarsi di Dio, di non volerlo mettere alla prova, come se gli bastassero i ‘segni’ che egli ha già. Ma in realtà, è chiaro, che egli non si fida affatto di Dio. In quella situazione drammatica, ha paura e non sa come uscire dal pericolo.

Allora interviene il profeta, di nuovo, per aprire gli occhi a questo uomo cieco.

Di fronte alla resistenza umana, Dio non si stanca, non demorde, e tantomeno perde la sua pazienza. Al contrario, il profeta a nome di Dio annuncia il dono di un segno, un simbolo di speranza, che si accende nella notte del dramma di quel re e della «casa di Davide»: il segno di Dio sarà la nascita di un figlio.

Questo bambino sarà il segno della presenza e della sollecitudine di Dio in mezzo a noi.

Così il nome di quel bimbo, portatore di speranza, sarà Emmanuele: Dio con noi!

È bello pensare alla nascita di un figlio come un segno di speranza, un segno della benedizione di Dio, un segno della sua fedeltà alla promessa. Questo è, sempre, la nascita di un figlio: un grande dono, un segno di vita, di apertura al futuro.

Per questo è spontaneo prendersi cura di un bambino: nella sua piccolezza, nella sua fragilità, nella sua vulnerabilità, un bambino piccolo fa nascere in noi, specialmente nel papà e nella mamma, il desiderio di prendersi cura di lui.

Certo, questo non sempre avviene. E, quando non accade, è come se noi rubassimo a quel bambino, che con la sua presenza è segno di speranza, è come se gli negassimo la possibilità di sperare. Viene sottratta la speranza a lui, che è segno di speranza.

Tutti questi pensieri, spontaneamente, alla vigilia del Natale, li riferiamo a Gesù: lui è il più grande segno di speranza, per la nostra umanità.

Anche noi viviamo tempi difficili e drammatici.

La storia ci riserva, anche oggi, molte insidie, e a volte anche tragedie. Anche a noi, il Signore offre la nascita di un figlio, di quel suo figlio, che è Gesù, come segno amorevole della sua bontà e del suo affetto per noi.

Quel piccolo, così fragile, è segno meraviglioso del Dio-con-noi.

Questo è Natale: memoria rinnovata della grazia di un Dio, che ci autorizza a sperare!

Isaia, poi, parla di una «vergine», dunque una donna giovane, che «concepirà e partorirà». Non era nulla di strano, allora …

Ma è proprio su questo particolare che si concentra il Natale di Gesù. Ne abbiamo ascoltato la storia, appena precedente questa nascita. È una storia molto particolare, direi anzi singolare, assolutamente unica. È una storia che dice la fantasia inesauribile e creativa dell’amore di Dio …

Il racconto è stilizzato e non entra assolutamente nei particolari. Questo lascia spazio alla nostra immaginazione.

Ci viene solo detto che Maria, promessa sposa di Giuseppe, «prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo».

È detto con naturalezza e semplicità assoluta un evento incredibilmente sorprendente. «Si trovò incinta … »! Una donna, quando scopre di essere incinta, sa bene perché. Qui no. Maria, «si trovò incinta per opera di Dio». Per grazia.

In modo del tutto inatteso.

Così arriva, sempre, Dio.

Non è riducibile alla nostre attese. Ai nostri progetti. Ai nostri desideri. Dio è sorpresa, fantastica.

È proprio qui che si scatena il dramma.

Giuseppe, ovviamente, viene a sapere della cosa. Come, non ci è detto. Probabilmente viene a saperlo, in via confidenziale, da chi è molto vicino alla sua ‘promessa sposa’, che ancora non viveva con lui. Giuseppe è sconvolto, giustamente …

Sa bene che questo figlio non è suo. E questo è particolarmente vero per lui, anche se in un modo diverso da quello che lui poteva aspettarsi.

Quel figlio non è suo, non perché sia di un altro uomo, ma perché è figlio di Dio, è Dio stesso che si è fatto carne, con la carne di Maria!

Giuseppe avrebbe potuto ‘fingere’ che quel figlio fosse suo. Ma questo non è lo stile di Giuseppe. È un «uomo giusto», non si attribuisce una paternità che non è sua! Contemporaneamente ama profondamente Maria, le vuole bene.

La Legge prevedeva di ripudiare donne come questa. Lo aveva tradito. Non era degna di lui.

Il Vangelo però dice che «non voleva accusarla pubblicamente». È come se Giuseppe cercasse la via migliore per ‘salvare’ ancora Maria. Questo ci dice la sua delicatezza, il suo profondo legame con lei.

È disposto a perderla, ma senza accusarla.

Insomma la situazione è proprio intricata. Per questo Giuseppe considera con attenzione quel che sta accadendo. Ma non trova una via ragionevole di uscita.

Così, all’improvviso, è Dio che gli parla. Non è Maria che gli spiega come sono andate le cose. È Dio che, per grazia, gli annuncia come lo aveva annunciato a Maria: «non temere» gli dice «un angelo del Signore». E continua: «il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo».

È un annuncio incredibile, che magari fa sorridere anche molti di noi. Non era facile, ‘naturale’, per Giuseppe credere a questa Parola. In modo imprevedibile, dice il Vangelo, Dio aveva così compiuto la profezia di Isaia all’incredulo e testardo Acaz.

Al contrario, Giuseppe, è un uomo di fede sconfinata. Egli «fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa».

Così, con la massima naturalezza, è detta la stupenda grandezza di quest’uomo.

Giuseppe accetta di diventare padre di un figlio che non è suo, accetta di dargli nome, Gesù, che significa Salvatore.

Giuseppe scoprirà che quel figlio è la rivelazione di un Padre, il Padre.

Quel figlio, grazie a lui, sarà dono per tutta l’umanità.

Un segno inesauribile di speranza e di luce nelle nostre tenebre: sarà Dio con noi!