Hotspot migranti: tra protezione e rimpatrio

Mimmo_Paladino_Porta_di_Lampedusa_porta_europa_01 La politica migratoria rimane sempre argomento caldo di ogni riunione di parlamentari europei; discutono su come proteggere chi scappa dalle guerre e come riportare indietro chi parte per cercare fortuna,  si concentrano su controlli alle frontiere e fondi da destinare all’accoglienza. La Sicilia e Lampedusa nuovamente sono un laboratorio dove fare degli esperimenti, ignorando anche la più probabile soluzione e chi è protagonista e non spettatore di queste e altre storie. Nascono, infatti, gli Hotspot, nuove tipologie di centri dove si faranno tutte le identificazioni dei migranti che arrivano nel nostro paese. Il primo a essere stato operativo è proprio quello di Lampedusa, collocato all’interno della struttura di contrada Imbriacole, adeguata appunto a questa nuova funzione.

In realtà il piccolo centro oltre ad essere sempre stato di prima accoglienza e assistenza, ha già altre volte adempiuto a questa necessità. Qui i migranti rimangono solo pochi giorni, il tempo di fare tutti i controlli e poi spostarli in altre strutture per lo più in Sicilia. Rispetto al passato adesso le procedure dovranno essere più precise: i migranti con diritto d’asilo saranno trasferiti più velocemente nei paesi destinati ad accoglierli e separati dai cosiddetti “migranti economici” costretti invece a ritornare in patria… tutto quanto a spese dell’Europa.

Le autorità italiane in questo delicato compito saranno supportate da esperti di agenzie internazionali, come Frontex ed Europol, che avranno a disposizione 72 ore dall’arrivo per distinguere, facendo riferimento alla nazionalità, chi ha diritto alla protezione internazionale e chi invece dovrà essere rimpatriato, oltre ad individuare le categorie più vulnerabili, ossia i minori non accompagnati. Sempre entro le 72 ore, nella loro valutazione dovrebbero tenere in considerazione anche dei fattori più soggettivi: il migrante che ha diritto di asilo non per forza arriva da un paese dove c’è una guerra, ma può essere una persona che ha subìto violenze, è stata vittima di persecuzione religiosa o politica.

Questo, in teoria, è un hotspot, ma com’è già successo in passato molte cose potrebbero non funzionare per come sono state pensate. Molti migranti, ad esempio, rifiutano di farsi identificare e in questo caso né possono costringerli a farlo, né possono forzatamente trattenerli in un centro. Proprio nei primi giorni dell’Hotspot lampedusano molti eritrei, che assieme ai siriani sono tra i fortunati destinati ad alcuni paesi del nord Europa, si sono rifiutati di lasciare le impronte perché non volevano, in base al Regolamento Dublino II, che la loro richiesta di asilo fosse esaminata dall’Italia. Una cinquantina di loro, tra cui qualche donna e minore, sono usciti dalla struttura per dirigersi in Chiesa dove per più di 4 ore hanno tenuto testa ai vari mediatori. Il giorno dopo si sono diretti al porto commerciale dell’isola, dove qualche minore vedendosi negato l’imbarco sulla nave poiché non rientrava nelle liste di partenza, si è buttato in acqua dalla banchina. Poi la mattina successiva formando dei piccoli cortei, hanno chiesto all’Europa la “libertà”… libertà di andare dove vogliono.

Il problema per la maggior parte di loro, oltre alla questione delle impronte, è legato alla notizia dei possibili rimpatri, quindi se da un lato hanno capito che il sistema è cambiato, dall’altro non hanno fiducia e temono di essere rimandati indietro. Positivo è stato il giudizio del commissario Ue all’immigrazione Dimitris Avramopoulos che, dopo il suo recentissimo viaggio a Lampedusa, ha dichiarato di aver costatato che l’hotspot è pienamente operativo, senza considerare che un giorno prima del suo arrivo e poche ore dopo la sua partenza un gruppo di migranti ha manifestato sulla piccola isola nuovamente caricata di responsabilità, che per via del brutto tempo la nave di linea non ha effettuato i trasferimenti previsti e che tornando il vento favorevole altri migranti avrebbero affollato la struttura. Ciò ci fa pensare, infatti, che quando tutti gli hotspot saranno a pieno regime potrebbero collassare nel giro di poche ore soprattutto, come spesso avviene, se non venissero rispettati i limiti di capienza stabiliti per ciascuno.

Lampedusa è un’isola di brevissimo approdo ma l’Italia per la maggior parte dei migranti rappresenta una lunghissima sosta prima di raggiungere la meta ambita. Solo qualche giorno fa, i primi 19 eritrei sono stati trasferiti in Svezia partendo dall’aeroporto di Ciampino. E tutti gli altri? Altra curiosità di questo nuovo sistema sta proprio nel fatto che alcuni paesi hanno già messo dei paletti alla loro disponibilità di accoglienza, non solo stabilendo i numeri ma anche la provenienza di chi far entrare. In definitiva, non solo l’essere un migrante economico sarà fattore discriminante. Quindi, per tutti gli altri? Un foglio che li intima a lasciare immediatamente il paese se non è possibile riaccompagnarli alla frontiera.

Maria Veronica Policardi

L’emergenza continua! Chiediamo ai nostri sostenitori e ai nostri lettori di aderire alla nostra campagna “Bambini in alto mare”, attivando un Sostegno a Distanza per garantire la giusta accoglienza di queste persone che scappano dalle minacce che scaturiscono dalle guerre presenti nei loro territori.