I bambini del Congo e i loro piccoli “zainetti” di solitudine

primo-piano-congo2La riflessione del volontario espatriato di Ai.Bi. Eddy Zamperlin a poche ore dell’arrivo della prima coppia che adotterà con l’associazione un bambino di Kinshasa, capitale di un Paese distrutto dei conflitti e dalla povertà: la Repubblica Democratica del Congo.

“Da quando ho iniziato la missione in Congo mi sono reso conto che per riuscire a portarmi dentro la complessità degli istituti, gli incontri istituzionali, la sicurezza personale… avevo bisogno di tempo per elaborare nella giusta maniera e non rischiare di cadere nell’ansia o peggio nel panico.

Molte delle situazioni che ci si trova ad affrontare richiedono di essere “digerite” per bene nella testa e nel cuore prima di essere affrontate e credo che questo sia uno degli aspetti più belli ed al contempo più difficili del lavoro del volontario espatriato.

Per quanto riguarda la mia esperienza, lo shock si ha quando si entra nei Centri di assistenza. Le condizioni drammatiche di vita dei bambini e la loro richiesta di affetto estrema, quasi palpabile, sono le due cose che mi hanno fatto riflettere maggiormente.

Purtroppo o per fortuna, il volontario espatriato non va d’accordo con la superficialità, con il “va beh” e con “il tempo risolverà“ che io stesso talvolta mi concedevo in alcune situazioni che mi si presentavano prima di partire. La possibilità di avere a che fare con una “dose” importante di complessità quotidianamente é un’esperienza che deve essere ben metabolizzata per poter ricevere i frutti finali delle riflessioni sul nostro lavoro.

Negli istituti si resta bloccati, ogni bambino nei Centri ci dona la sua disperazione, ce la scarica addosso, affilata, pungente, penetrante. Non li biasimo, il piccolo cuoricino di quei bambini non é in grado di comprendere un dolore così grande. Ogni pargoletto viene a cercare un mio abbraccio, un mio sguardo, un mio saluto o solamente una mia vicinanza chiedendomi di portare assieme a lui il suo “zainetto” di solitudine, dolore e disperazione che la vita gli ha incollato sulle spalle. I bambini, molto spesso non parlano francese, ma vi assicuro che per queste richieste non serve capirsi con le parole, basta un gesto, uno sguardo, una carezza.

Torno a casa dopo le visite nei Centri lasciando ogni volta un pezzettino del cuore ad ognuno di loro e cercando di strappare loro una fettina del dolore che manifestano. A casa poi inizio a pensare e cercare di capire come rielaborare il dolore che ho cercato di prendere da tutti quegli “zainetti”.

A volte riesco mentalmente, a volte devo sfogarlo fisicamente e quando non ci riesco una piccola parte di disperazione viene con me a dormire. Credo che cercare di stare vicino a quei bambini significhi anche portarsi a cena e a letto qualche breve immagine della loro situazione in istituto. Quello che non riesco a comprendere lo porto con me ogni giorno e quanto mi accade con quel dolore addosso alimenta nel mio cuore la “fame” di un altro piccolo pezzettino di disperazione da “rubare” a quei piccoli.

Piccole lucette del Congo, troppo fioche e bisognose dei sorrisi fin’ora mancati, sappiate un vostro sguardo é capace di scatenare dentro di me, la gioia che vi é stata negata.

Aspetto assieme a Voi l’arrivo di mamma e papà.”