I figli sono figli! La storia di Filippo e Laura “Il male dell’abbandono è stato redento dall’amore dell’accoglienza”

Dedicato a tutte quelle coppie che vogliono intraprendere la strada dell’adozione e hanno bisogno di risposte non solo tecniche, ma anche emotive. Dedicato a quelle famiglie che hanno sperimentato l’adozione e si ritrovano a rivivere il viaggio della speranza, le paure, le incertezze, la felicità e la gioia di essere genitori. Dedicato a tutte le famiglie che si sentono famiglia“.

Non è l’introduzione ad un manuale accademico e neppure un “j’accuse” polemico, quanto l’incipit del libro Il centuplo quaggiù. Adozioni internazionali e tanta Provvidenza che racconta la bella storia di adozione di Laura Debolini e Filippo Piani, protagonista dell’articolo di Davide Vairani su La Croce.

Una coppia che i lettori de “La Croce” quotidiano hanno imparato a conoscere e che si sono decisi a mettere nero su bianco l’esperienza di una vita: l’adozione dei loro bambini, Maria Filar e Samuèl, entrambi peruviani.

L’adozione non è un poderoso dossier, un cumulo di pratiche infinite, né tutto ciò che serve per definire un atto giuridico – scrivono nell’introduzione Marco Griffini e Irene Bertuzzi, fondatori di Ai.Bi.L’adozione per Laura e Filippo è molto, molto di più: è un vero atto di fede. Qui riviviamo in tutta la sua intensità quel ‘credo’ recitato forse inconsapevolmente da tanti genitori adottivi: ‘Anche se non ti ho partorito, anche se non sei frutto della mia carne, del mio sangue, io credo che tu sia mio figlio!‘”.

Laura e Filippo ne sono ben consapevoli e partendo da tale prospettiva conducono per mano il lettore lungo il cammino da loro percorso, facendolo rivivere con l’immediatezza propria di chi ha compreso che l’esperienza vissuta ha cambiato per sempre la loro vita. “Non è un passato che viene raccontato, ma un presente che si apre ogni giorno al domani: la speranza ora è diventata la certezza che il male dell’abbandono è stato redento dall’amore dell’accoglienza che ogni giorno si rinnova, che ha bisogno di rinnovarsi, per essere sempre fresco, vivo, pronto a tutto“.

“Il centuplo quaggiù” edito da Berica Editrice è una sorta di diario di bordo di una avventura faticosa ma avvincente quale è diventare famiglia adottiva e riuscire – infine – a vedere concretamente l’approdo, cioè l’adozione concreta. La bellezza di questo racconto meditato è data dal fatto che Laura e Filippo mettono a nudo il senso vero dall’accoglienza. E in fondo in fondo (ma nemmeno tanto) questo libro è prezioso per chiunque.

La descrizione dei due viaggi in Perù, per MaPi e Samuél, propone riflessioni profonde, suscitando emozioni diverse perché diversa è stata l’esperienza dell’una e dell’altra adozione.

Perché a mio avviso è un libro che tutti dovrebbero leggere? Perché la costante che attraversa ogni riga è il loro credere e affidarsi alla Provvidenza, il donarsi a chi ha bisogno: il bambino.

È l’atteggiamento che dovrebbero avere tutti coloro che intraprendono la strada dell’adozione, ma in generale chiunque di noi nella quotidianità della nostra vita: essere disponibili ad accogliere senza ritenere di dover prendere le misure prima. In un’epoca del “love is love” e dell’esasperante bisogno di soddisfare ogni nostro desiderio costi quello che costi (vedasi l’utero in affitto, ad esempio), Laura e Filippo ci mostrano concretamente la bellezza del fatto che si può vivere meglio rispetto a quanto il pensiero unico ci vuole vendere. Si può essere fecondi in molti modi, nonostante l’infertilità o la sterilità -si chiedono Laura e Filippo-. Si può essere fecondi morendo, soffrendo, credendo, aspettando, donando se stessi. Quando a donarsi è una coppia di sposi, la presenza di Cristo tra loro moltiplica il dono che ritorna inaspettatamente ricco.

Come poter essere fecondi nella inutilità dei nostri corpi? Nella disgrazia della nostra drammatica, crudele, maledetta sterilità? A chi è stato chiamato a collaborare al progetto della creazione, ha donato la ‘grazia della fecondità’. Guai a chi pensasse ad un libro da mulino bianco, dove tutto è roseo e ammantato di buoni sentimenti. Qualsiasi famiglia intraprenda il percorso dell’adozione sa benissimo che andrà incontro ad un sacco di problemi, di burocratismi, intoppi, costi.

Sa benissimo che sta per intraprendere un percorso ad ostacoli dove sembra che tutto cospiri contro. Basterebbe pensare ad un solo dato: la Commissione adozioni internazionali (CAI). L’ultima riunione deliberante è stata nel novembre 2013. Poi più nulla, tranne una formale riunione di insediamento nel giugno 2014. Sono passati tre governi (Letta, Renzi, Gentiioni), si sono susseguiti quattro diversi Presidenti della CAI (Kyenge, Renzi, Della Monica per più di due anni, Boschi), ma nessuno ha mai convocato la Commissione Adozioni Internazionali per svolgere quegli importantissimi compiti a cui è chiamata per legge ( 1.184 del 1983 e d.p.r 108 del 2007).

Anche la struttura operativa della CAI è ormai praticamente inesistente: manca il direttore, il personale è ridotto al lumicino, il sito è bloccato da più di sei mesi, la linea telefonica dedicata alle famiglie non è attiva, le mail vengono rimandate al mittente, il centralino risponde sempre che non c’è nessuno. Le rendicontazioni dei progetti di prevenzione dell’abbandono non sono state verificate, dal 2011 le famiglie non ricevono i contributi all’adozione e da tre anni non ricevono alcuna informazione.