Il Vangelo di Marco (Mc. 5, 21-43) racconta questa domenica il miracolo della resurrezione della figlioletta di Giàiro, uno dei capi della sinagoga. Un miracolo che Gesù realizza con estrema discrezione, chiedendo a tutti i presenti di uscire dalla casa della piccola. I bambini abbandonati sono morti invisibili ai più, perché muoiono non fuori del corpo, ma dentro. Non è forse lo stesso ‘anonimo’ miracolo compiuto da Gesù duemila anni fa in Galilea, quello che ogni coppia adottiva compie quando restituisce a un bambino abbandonato il suo diritto ad essere figlio? Come ogni venerdì proponiamo la riflessione per l’omelia di domenica 19 luglio scritta da don Maurizio Chiodi, assistente spirituale di Amici dei Bambini e de “La Pietra Scartata”.
XIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO
PRIMA LETTURA Sap 1,13-15; 2,23-24 Dal libro della Sapienza
Dio non ha creato la morte
e non gode per la rovina dei viventi.
Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano;
le creature del mondo sono portatrici di salvezza,
in esse non c’è veleno di morte,
né il regno dei morti è sulla terra.
La giustizia infatti è immortale.
Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità,
lo ha fatto immagine della propria natura.
Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo
e ne fanno esperienza coloro che le appartengono.
SECONDA LETTURA 2Cor 8,7.9.13-15Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
Fratelli, come siete ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così siate larghi anche in quest’opera generosa.
Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.
Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: «Colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno».
VANGELO Mc 5,21-43 Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.
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La parola di Dio, oggi risuonata per noi in questa celebrazione eucaristica, è particolarmente ricca e suggestiva.
Il nostro sguardo – il mio – è naturalmente attratto dal Vangelo.
Però c’è una bellissima formula dell’apostolo Paolo che ci introduce al racconto singolare e sorprendente di questi due miracoli, compiuti da Gesù in terra di Galilea.
Paolo scrive ai Corinti, nella seconda lettura: «Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà». Potremmo tradurre così queste parole, per introdurci nel Vangelo di oggi: nell’umanità di Gesù, nella storia di quest’uomo, unico, si è riversata tutta la sovrabbondanza e l’eccedenza della grazia e dell’amore di Dio.
Quel Dio di cui dice, nella prima lettura, il libro della Sapienza, che «non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi».
Una parola che, naturalmente, non significa che Dio non ci abbia creato ‘mortali’, ma che oltre la morte ci è donata da Lui la speranza di una vita ‘im-mortale’ nella pienezza della comunione amorosa con un Dio che ci ha amato al punto di farsi ‘carne della nostra carne’, in Gesù.
Ecco, allora, guardiamolo questo Gesù, all’opera nel racconto – splendido – dei due miracoli del Vangelo odierno.
Sono due prodigi incastonati e impreziositi l’uno dall’altro.
Il miracolo della resurrezione di una bambina, dodicenne, figlia di Giairo, uno dei capi della sinagoga di Cafarnao, è come l’anello su cui è incastonato l’altro miracolo, quello di una donna che da dodici anni ha una grave patologia, perdite continue di sangue, una malattia cronica inguaribile, per la quale nessun medico aveva potuto (ancora) fare nulla e per la quale questa donna aveva speso tutte le sue ricchezze, tutta la vita.
Ebbene questa donna, che ha sentito parlare di Gesù e adesso lo vede circondato da una grande folla, che con lui sta andando alla casa di Giairo, subito pensa: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata».
Il Vangelo non dice nient’altro sulle intenzioni di questa donna.
Chissà, magari c’è anche qualcosa di ‘magico’ e di superstizioso nel modo di agire di questa donna. “Basta che io tocchi, anche il mantello di Gesù, per essere guarita”, così lei pensa.
C’è qui forse, l’idea, superstiziosa, che per semplice ‘contatto’, come per infezione, Gesù potrebbe risanarla. Tanto più che donne come questa, nella cultura ebraica del tempo, venivano considerate ‘impure’ e non potevano partecipare alla preghiera nel tempio, se non purificandosi.
Insomma, c’era quasi una ‘colpa’, che doveva essere cancellata da Dio per potersi presentare dinanzi a Lui, nella comunità orante.
E così, questa donna furtiva, si avvicina a Gesù, senza dirgli nulla, quasi per rubargli la sua guarigione, per contatto.
Per questa ragione questa donna è una figura che richiama molti comportamenti che anche oggi ritornano con una certa frequenza, non solo presso i cristiani, ma anche in molti che dicono di non credere (nemmeno) in Dio.
E’ strano, ma anche in un’epoca come la nostra, ‘secolarizzata’ e post-secolare, che coccola il mito della ‘ragione’, della tecnica e della scienza, molte persone si affidano alla superstizione: fatture, maledizioni, corna, cornetti … portafortuna, amuleti.
E purtroppo, anche qualche cristiano ‘usa’ oggetti e simboli religiosi come se fossero dei portafortuna, dei parafulmini, e si serve di Dio come se fosse un ombrello che ripara dalle disgrazie, dal male, dalle sventure.
E così vive in un mondo di paura, di Dio, che vuole catturare il sacro e esorcizzare e sconfiggere la propria debolezza, impotenza, fragilità.
Però, nel caso di questa donna c’è sicuramente anche altro.
E forse anche in questi surrogati di religione che sono diffusi anche oggi si nasconde qualcosa di più profondo: un insopprimibile desiderio di Dio e una profonda e insuperabile coscienza della propria fragilità e piccolezza.
Forse questa donna, che già aveva sentito parlare di Gesù, è spinta verso di lui dal suo dolore, in una fiducia così forte, che pensa che basti ‘toccarlo’, anzi ‘toccare il suo mantello’ per esserne guarita.
E subito, quando tocca Gesù, questa donna avverte in sé, ‘sente’ «nel suo corpo che era – davvero – guarita dal – suo – male».
Tuttavia, proprio in quell’istante, accade qualcosa di sorprendente e addirittura di sconvolgente: Gesù si volta verso la folla, che lo tocca da tutte le parti, lo schiaccia, lo assedia – e chissà quanti altri volevano ‘toccarlo’! – e dice: «Chi ha toccato le mie vesti?». E poi mentre i discepoli giustamente gli fanno notare la folla attorno, continua a guardarsi intorno.
Gesù vuole cercare, prima con lo sguardo, ‘chi’ lo ha toccato.
A quel punto, e chissà magari dopo qualche istante che le sarà ‘sembrato’ un’eternità, la donna si fa avanti, «impaurita e tremante». Si getta davanti a Gesù.
E’ li, quella donna, già guarita, non davanti a qualcosa, un ‘sacro’ generico, madavanti a ‘qualcuno’: il volto di Gesù. E davanti a lui, che la ascolta, dice «tutta la verità».
Vedete come l’incontro con Gesù fa crescere la fede, all’origine ancora inquinata da superstizione, verso un rapporto personale, unico, con lui?
Gesù non rimprovera assolutamente questa donna, come invece lei forse si aspettava. Anzi, a quel punto Gesù riconosce la sua fede. Aveva accettato un bellissimo cammino e la sua povertà (la sua malattia) l’aveva avvicinata all’incontro personale con Gesù!
In quel momento, dalla casa di Giairo, capo della sinagoga, arriva qualcuno a dire: “la bambina è morta” e, rivolgendosi a quel padre, con modi un po’ ruvidi, poco delicati, dice: «Perché disturbi ancora il Maestro?».
In effetti, fino a quel giorno, Gesù aveva fatto molti miracoli, scacciato molti demoni, liberando gli uomini da tante forme di male, ma ancora non aveva fatto risuscitare nessuno.
Si comprende allora lo scetticismo dei presenti. Anche Gesù lo comprende bene. E’ un momento importante del suo ministero, per noi.
Si rivolge al padre, incoraggiandolo, oltre lo strazio del dolore (lo immaginate, questo padre?): «Non temere, soltanto abbi fede!».
E poi prende con sé tre discepoli, quelli che assistettero alla sua trasfigurazione sul Tabor e che assisteranno al suo immenso dolore al Getsemani: Pietro, Giacomo e Giovanni. Non vuole nessun altro, Gesù.
Sa che il suo gesto potrebbe essere frainteso … Allora, come oggi. Oggi, poi, qualche scettico potrebbe dire: certo, la bambina non era ancora morta, per questo l’ha fatta risorgere!
E’ incredibile, ma è proprio Gesù che entrando nella casa del capo della sinagoga, dice così: «Perché vi agitate così tanto? Perché piangete? La bambina non è morta, ma dorme». Forse vuole relativizzare il suo gesto, Gesù, per non creare troppo scalpore, per non essere frainteso.
O forse vuol dire che agli occhi di Dio, la morte è come un ‘sonno’, non è la fine assoluta di tutto, perché è come un passaggio ad una vita diversa, nuova. Naturalmente tutti lo deridevano.
Gesù non risponde, non si difende, non aggiunge altre (inutili) parole.
Manda fuori tutti. Vuole con sé solo i discepoli e, con un atto di squisita tenerezza, attenzione, bontà, il padre e la madre della bambina.
Ma è ancor più commovente la ‘grazia’ dei gesti di Gesù.
Prende la mano della bambina, una mano che conosceva già l’abbandono e l’inabilità della morte.
La mano della fanciulla, nella sua. La tocca, con immensa tenerezza e amore.
E poi le parla, proprio come se dormisse: «Talità kum» (l’evangelista ha conservato l’aramaico!), «Fanciulla, io ti dico: àlzati!».
Notate, non le dice: “torna a vivere!”
Alzati è un verbo che anticipa la parola che indicherà la sua risurrezione. E’ il gesto pratico di chi è vivo.
Con la massima naturalezza, la bambina, subito, «si alzò e camminava».
La vita riprende. Tutti sono colpiti da grande stupore.
E anche noi!
Nasce anche in noi la domanda: “Ma chi è costui?”.
E’ per questo che Gesù non vuole che nessuno venga a saperlo, per non essere scambiato per un ‘ mago’ …
Solo nella sua Pasqua noi sapremo chi egli è: la grazia e la speranza di Dio entrate nella storia dell’umanità.
don Maurizio