“Il primo Natale insieme ai miei bimbi del Congo dopo tre anni di lotta contro silenzi e bugie”

genitori rdc“Ricordo l’emozione alla prima chiamata su Skype, ma anche la delusione perché non andavamo mai a prenderli”. Antonella Prete, avvocato di Matera, è una delle centinaia di genitori italiani che ha dovuto attendere anni prima di poter abbracciare i propri figli adottati nella Repubblica Democratica del Congo. Alla giornalista Maria Novella De Luca di “Repubblica” racconta la sua storia e dice: “Riuscire ad adottare è stata un’odissea. La nostra famiglia e le altre sono ora finalmente riunite”. Di seguito riportiamo integralmente l’intervista pubblicata giovedì 29 dicembre.

 

Antonella li ha chiamati i “Natali rubati”. Quelli in cui Winner e Paulda, i suoi due bambini africani, invece di essere in Italia, nell’abbraccio sicuro dei nuovi genitori, erano bloccati nell’orfanotrofio di Kinshasa, in cupe notti di guerra. “Mamma, quando sparavano ci stendevamo per terra, al buio, e pregavamo per farvi arrivare presto…”.

Mille giorni di “ritardo”, un tempo infinito nella vita di un bambino. Poi finalmente, quest’anno, il primo Natale tutti insieme, i doni, l’albero, le luci della casa di Matera dove la loro stanza era pronta fin dal 2013. Prima cioè che la Repubblica Democratica del Congo bloccasse tutte le adozioni internazionali, gettando nella disperazione centinaia di genitori italiani pronti a partire, con il cuore appeso a una fotografia, e centinaia di bambini in attesa di una nuova vita. “Oggi siamo felici”, racconta Antonella Prete, avvocata, mamma di Paulda che ha 9 anni e di Winner che ne ha 6, “se penso però che i miei due ragazzi hanno perso tre anni d’affetto e di amore, in una odissea di silenzi e bugie, sento che è stata un’ingiustizia enorme”.

Antonella, com’è stato il vostro primo Natale?

“Bello e particolare nello stesso tempo. Da una parte sembra infatti che Paulda e Winner siano sempre stati con noi, Figli. Poi, invece, il loro stupore di fronte alle cose più piccole, come le luci di Natale, ma anche la paura se c’è uno scoppio che somiglia a uno sparo, ci ricordano che sono qui soltanto da sette mesi. Pochissimi per dimenticare un’infanzia di guerra e solitudine”.

Cosa li rende felici?

“Tutto. Ridono e scherzano, adorano la musica, e finora non hanno avuto problemi di inserimento. Si sono abituati al nostro cibo, crescono, sono sani. Ma il passato c’è, e pesa. L’orfanotrofio torna e affiora nei loro racconti. Come l’emozione la prima volta che ci hanno visti e sentiti via Skype, ma anche la delusione perché il tempo passava e noi non andavamo a prenderli”.

E’ stata definita “la guerra delle adozioni in Congo”. Un caso diplomatico. Tra enti divisi pro e contro la Cai.

“Una storia che ha lacerato il mondo dell’adozione, ed è ancora piena di ombre. Com’è noto insieme ad altri genitori abbiamo fondato un comitato che si è battuto per avere notizie e chiarezza, ma siamo dovuti arrivare ad incatenarci per avere risposte sia dal Governo che dalla Cai”.

Da cosa nasceva il blocco in Congo?

“La versione ufficiale è che in alcuni Paesi, ma non in Italia, ci fossero state adozioni irregolari. E nonostante i nostri dossier fossero in ordine, siamo rientrati nella moratoria. Pronti a partire e si è fermato tutto. Quanta vita rubata ai nostri figli. Ma la cosa più grave è che siamo stati senza notizie per mesi e mesi”.

Perché tanto silenzio?

Forse per coprire errori di gestione? Negli altri Paesi i genitori avevano notizie e aggiornamenti. Noi nulla”.

Nel 2014 alcuni bambini furono portati in Italia.

“Trentuno. Poi per due anni silenzio. Molti di noi non sapevano nemmeno se i loro figli fossero ancora nell’orfanotrofio, e in quali condizioni di salute”.

Ma gli enti cui vi eravate affidati?

“Il nostro era il Naaa, che ci ha supportato in ogni modo, ma anche loro avevano difficoltà ad ottenere notizie”.

La situazione si è sbloccata nel 2016.

“Sì, i 153 bambini adottati sono arrivati nel nostro Paese. Ma tutto doveva avvenire molto prima”.

Oggi lei è finalmente mamma…

“Veramente lo sono da quando ho iniziato ad ‘aspettarli’, per tre lunghissimi anni. Che si sono sommati all’iter adottivo. Pensate che doccia fredda: quando finalmente sai che ci sono  due bimbi che ti aspettano in Africa, ti dicono che forse quei figli non li vedrai mai…”.

Durissimo da sopportare.

“Un’attesa che può anche distruggere una coppia. Noi per fortuna abbiamo retto. Il mio cuore salta quando mi dicono ‘mamma, ti vogliamo un bene così grande che arriva fino al sole’. Paulda, il più grande, mi chiede spesso di guardare i video del loro arrivo, per vedere quanto è cambiato”.

E qual è stato il cambiamento più grande?

“Gli occhi. Ora brillano. E sentirli ridere. Un dono della vita”.