Il riscatto di Kwadzo grazie all’adozione: dall’Africa sul podio per la Nazionale Canottieri italiana

Da orfano in Africa a campione di canoa in Italia. Adottato da una famiglia di Dervio quando aveva solo undici anni, nato con una grave malformazione congenita alle gambe che ha portato all’amputazione parziale di un arto, il “bambino della canoa” ha trovato nelle braccia e nella pagaia le armi per il riscatto e in Lecco la città adottiva.

Quando sono salito sull’aereo che mi avrebbe portato in Italia credevo che il sogno sarebbe durato soltanto poche settimane. Non pensavo che davvero la mia vita sarebbe cambiata per sempre. E invece sono qui ormai da diciassette anni e ora vestirò i colori della nazionale ai mondiali di paracanoa che si svolgeranno in Ungheria alla fine di maggio”.

Kwadzo Klokpah non nasconde l’emozione mentre ricorda l’infanzia da orfano in Africa e pensa al futuro che lo attende. Nativo del Ghana, 28 anni è un concentrato di entusiasmo. Storia di integrazione, quella di Kwadzo. Di rinascita e di forza.

Riguardando le fotografie di quel piccolo dal sorriso luminoso nonostante la sofferenza scritta in volto, i vestiti laceri, il corpo scarno, mentre era in Ghana, sembra incredibile credere a tutto quello che è riuscito a costruire in questi anni. Il fisico gracile ha lasciato spazio a muscoli d’acciaio. Solo gli occhi restano gli stessi. Profondi, determinati, senza più l’ombra di quella paura che gli ha sempre impedito di fare ritorno in Ghana.

Nella specialità del K1, Kwadzo ha conquistato due bronzi e un argento agli italiani paralimpici che si sono disputati a settembre all’Idroscalo. E da pochi giorni è campione italiano di fondo, dopo avere conquistato a Torino la medaglia d’oro nei 3000 metri. Il 23 maggio partirà per l’Ungheria e vestirà la maglia azzurra. I giorni in ospedale, gli interventi subiti, le paure, sono un ricordo lontano. “Arrivava dall’ospedale dove aveva subito l’amputazione parziale di un arto – ricorda il padre Stefano Cassinelli – . Non mangiava da giorni. Orfano. La mamma morta quando lui era in fasce, il padre lo aveva abbandonato. Solo una zia che abitava lontano si prendeva cura di Pesava diciannove chili. Sulla carta aveva undici anni, ma non ne dimostrava più di sei”.

Il resto della storia è Kwadzo a raccontarla.Mi sembrava un sogno anche quando è venuto a prendermi in aeroporto con una vecchia Ford Escort”. Quello che segue è un romanzo fatto di difficoltà ma anche di grandi gioie. I due interventi con il metodo Ilizarov all’ospedale di Lecco per tentare di preservare almeno in parte l’uso dell’arto parzialmente amputato, la scuola da grafico pubblicitario, il diploma da massaggiatore e la canoa, nel solco del suo mito, il pluricampione olimpico lecchese Antonio Rossi.

Si allena cinque ore al giorno, ma per lui è quasi un gioco. “La canoa mi consente di superare il mio handicap – racconta Kwadzo, mentre si trova a Castel Gandolfo per il raduno della nazionale – . La Canottieri di Lecco è la mia seconda casa. Lì tutti mi conoscono e mi vogliono bene. Mi chiamano “tenente Kojak “. Tutto quello che è accaduto mi sembra impossibile. Ancora non ci credo. Ora voglio fare bene in Ungheria, ma il mio sogno sono le Olimpiadi di Tokyo nel 2020. Voglio esserci”.

L’Africa è un ricordo lontano. Le paure di un bambino tutto solo, ora sono nascoste nel corpo di un uomo forte, dal fisico scolpito. Di quell’orfano restano il sorriso e lo sguardo mite. Si specchiano negli occhi orgogliosi del suo papà adottivo. E resta quella promessa fatta laggiù. “Mi prenderò cura di te per sempre”, è un patto scritto che non si è più spezzato.

Fonte: Corriere della Sera