Italia, 22 mila minori nelle comunità educative, Liviana Marelli (CNCA): è inquietante!

Minori in accoglienza fuori famiglia: la ricerca Istat 2012 ha ampliato il raggio d’indagine, svelando in Italia un alto numero di minori ospitati nelle strutture d’accoglienza. Ne sono stati contati 22.584 nel 2009, contro i 16.414 del 2006. Si tratta di un 40% in più di under-18, un aumento dovuto al più grande numero di presidi sui quali è stata condotta l’ultima indagine, e dovuto altresì all’inclusione nelle statistiche dei centri socio-sanitari, oltre a quelli socio-assistenziali.

Ma questo non esime nessuno dei soggetti che hanno in cura l’infanzia e l’adolescenza di ignorare l’allarme proveniente dalle cifre. Ne parliamo con Liviana Marelli, coordinatrice dell’area infanzia, adolescenza e famiglie del CNCA, Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza.

Così tanti minori nei presidi, in Italia. Le risultava che i dati fossero questi?

No, l’ho scoperto quando ho ricevuto il documento ISTAT. Certamente i dati sono importanti e per certi aspetti inquietanti. Credo si debba chiedere un’analisi seria dei bambini e dei ragazzi fuori dalla famiglia, per esempio richiedendo la costituzione della Banca Dati dei Minori, con indicatori completi e complementari – di età, genere, se soli o con la propria madre, tempi e cause della separazione dalla famiglia, se ospiti in comunità o dati in affido – aggiornata in tempi ravvicinati; l’ultima fatta dall’istituto degli Innocenti è del 31 dicembre 2008, ed è già troppo vecchia.

Quali sono le maggiori cause della separazione di questi minori dalla famiglia?

Penso che le variabili siano molte. La dismissione dello stato sociale, anzitutto. Poi le politiche sociali centrate sulla beneficienza e non sui diritti. C’è anche un’involuzione culturale che riguarda gli interventi sociali e li vede solo come costo e non come investimento, così come la poca o nessuna cura della famiglia d’origine del minore nella struttura.
Non ultime, cause come la crisi economica attuale, che esclude e marginalizza sempre più persone dal tessuto sociale, proprio a partire dalle persone più vulnerabili; e come la dismissione delle politiche di prevenzione, promozione e inserimento sociale. Infine la confusione della tutela dei bambini e dei ragazzi con la mera esecuzione dei provvedimenti dei tribunali per i minorenni.

Come giudica la situazione di questi minori in relazione ai loro diritti?

Decliniamo con chiarezza cosa intendiamo per qualità dell’accoglienza: le comunità devono essere case di “normale abitazione”, di piccole dimensioni, con adulti stabili (famiglia e équipe educativa), aperte al territorio, con presenza di volontari/famiglie/cittadini attivi di sostegno e di vicinanza, in rete con gli altri soggetti del territorio, con numero adeguato di operatori (rapporto tra minori accolti e operatori), formazione, supervisione, riunione équipe, accoglienza delle famiglia d’origine (dove possibile), accompagnamento/ponte verso il dopo (rientro in famiglia d’origine, verso l’adozione o l’affido) e una comunità come “luogo e porta aperta” (i ragazzi sanno che possono “contare” sugli adulti che hanno incontrato in comunità, può stare in relazione con loro, in qualche modo rinnovando il principio del “diritto alla continuità affettiva”.

Parliamo di affido. Una soluzione per questi minori potrebbe essere incentivare l’affido per questi minori. è utile? Che cosa ne pensa?


Certo!
E su questo non c’è altro da aggiungere. Incentivare l’affido risponde al diritto alla famiglia per tutti i minori, e lo sostiene.

Non è che, con questi numeri alti e dopo la scoperta di sempre più minori nelle strutture, allo Stato venga in mente di riaprire gli istituti?


Spero proprio di no.
E anzi, dobbiamo contrastare assolutamente questa eventualità. Aggiungerei che la destinazione di questi minori è la comunità di tipo familiare, ma dobbiamo fare una distinzione importante, che lo Stato ancora non ha fatto: che cosa si intende con comunità di tipo familiare. Lo dico perché nel settore pubblico non c’è ancora la definizione chiara di che cosa si debba intendere per comunità familiare e quale ne debbano essere lo stile, l’accoglienza, le strutture, i servizi, i numeri. Il rischio c’è eccome che si ritrasformino in istituti camuffati, o, come dico sempre, in istituti pitturati di nuovo. Manca il senso, ecco.

Una domanda delicata: la legge sull’affido ha fallito? Qual è la sua posizione?

La mia posizione è che bisognerebbe renderla finalmente operativa. A fallire sono state le iniziative di uno Stato che non mette tra le sue priorità l’aiuto ai minori. Se c’è da fare dei tagli, perché tagliare proprio in questo campo? Uno Stato civile non dovrebbe tagliare il sostegno all’infanzia e all’adolescenza.

Qual è la sua posizione sul rilancio dell’affido nelle mani del privato sociale, come ad esempio Enti e associazioni?

Penso che le organizzazioni di privato sociale (peraltro diverse tra di loro, perché una cosa è l’associazione di volontariato e un’altra la cooperazione sociale, per esempio) debbano e possano essere partner corresponsabili nella progettualità a sostegno degli affidi. La titolarità potrebbe restare pubblica. Non sono cioè del parere che le organizzazioni di privato sociale vengano delegate in via unilaterale. Nella situazione attuale, per lo meno, ci vorrebbe una titolarità pubblica e la definizione chiara di un contesto di corresponsabilità tra pubblico e privato sociale.