Ivrea, la prima adozione in carcere d’Italia: padre e figlio entrambi detenuti

carcere7-391x215Il punto è che non si tratta soltanto di un fatto di cronaca. Ma di una storia di solidarietà vera, che stabilisce un precedente unico finora in Italia. Protagonisti sono due perfetti sconosciuti. Le loro vite si sono incrociate un giorno per caso in una cella di 4 metri per 2 del carcere di Ivrea. Oggi sono diventati padre e figlio. Sì, un’adozione vera e propria. Tra detenuto e detenuto. Una cosa mai successa prima. “Certo, non è stata una passeggiata, ma dopo un anno di lavoro e faldoni di moduli alla fine ce l’abbiamo fatta” racconta Maria Pia Lamberti, l’avvocato che ha seguito la causa passo dopo passo fino alla sua conclusione, all’inizio di maggio.

“E chissà – continua – che ora questa vicenda non possa essere di esempio per qualche altra persona”. Tutto comincia più o meno tre anni fa nella cittadina piemontese patria della Olivetti. E’ lì che finisce in carcere Daniele S., 53 anni, originario di La Spezia, per falso e truffa. Ed è dietro quelle stesse sbarre che si ritrova anche Mohamad. Ha 31 anni e viene dal Ghana. In Italia è arrivato chissà come. Irregolare. Lo arrestano per uno di quei soliti casi legati alla droga. In carcere conosce Daniele. Quello che oggi chiama papà. E quello di cui lui, Mohamad, si è sempre preso cura come un figlio. Perché in carcere Daniele, una vita divisa tra Sulmona e la provincia di Brescia, viene colpito da un ictus. Si salva, ma rimane semiparalizzato su una sedia a rotelle. Nel frattempo sua moglie lo ha lasciato. Dopo l’arresto se n’è tornata in Russia.

A occuparsi di Daniele non c’è nessuno. Nessuno tranne Mohamad. Lo assiste. Lo aiuta a tirarsi su dal letto e a coricarsi. Con le sue braccia forti lo solleva, lo accompagna in bagno, sta al suo fianco quando è ora di cambiarsi e di lavarsi. Diventa il suo angelo custode. Gesti spontanei, frutto di amicizia e di buona volontà. Non ci sono imposizioni dall’alto. Ordini della direzione del carcere o degli agenti di polizia penitenziaria. In quelle giornate infinite, i due detenuti si scambiano pensieri ed esperienze. Mohamad racconta della sua fuga dall’Africa, dello sbarco in Italia, della vita da clandestino e dei suoi problemi con la giustizia. Una vicenda destinata a non avere un lieto fine. Una volta scarcerato Mohamad sarà espulso e rimpatriato. Daniele ascolta e riflette. E’ allora che nasce in lui l’idea dell’adozione. Un’impresa all’apparenza impossibile. In Italia non è mai successo prima. Nel frattempo viene trasferito a Sulmona. Lì conosce l’avvocato Lamberti che prende a cuore la vicenda e inizia ad attivarsi. Passano mesi e mesi di udienze. A inizio maggio arriva il sì definitivo del tribunale. Adesso Daniele ha un figlio di colore: Mohamad. Oggi tutti e due hanno lasciato il carcere. Uno è in libertà vigilata, all’altro con l’adozione è stato riconosciuto il diritto di rimanere in Italia. Si sono trasferiti nel Bresciano. Dove vivono come una famiglia vera. Nata dietro le sbarre.

 

Fonte: Il Fatto Quotidiano