La Cassazione: “La nuova compagna è incinta? Il papà separato perde l’affido del figlio avuto dalla prima moglie”

cassazione88_300Se la nuova compagna del papà separato è incinta, questi può perdere l’affido del figlio minorenne avuto dalla precedente moglie, perché si considera che il nascituro concentrerà su di lui tutte le attenzioni della coppia. Lo ha stabilito la VI sezione civile della Corte di Cassazione con la sentenza 18817/2015, emessa il 23 settembre, che ha confermato una precedente decisione della Corte d’Appello di Bologna. In sostanza, i Supremi Giudici hanno deciso che l’attesa di un figlio dalla nuova compagna, nel frattempo divenuta convivente, legittima il rovesciamento del provvedimento con cui il Tribunale aveva collocato, in regime di affidamento condiviso, il figlio presso il papà.

La decisione della Cassazione si riferisce a un caso partito dalla Romagna. In seguito al divorzio di una coppia di Rimini, il giudice di primo grado aveva disposto l’affidamento condiviso presso il padre, incaricando i servizi sociali del Comune adriatico di concordare con quelli di Roma la programmazione e la gestione delle visite alla madre che nel frattempo si era trasferita nella Capitale. La Corte d’Appello, pur confermando l’affidamento condiviso, aveva disposto il trasferimento del minore dalla madre perché, in un periodo per lui particolarmente importante, quello dell’avvio alla scolarizzazione, “la permanenza stabile nel nucleo della madre risultava maggiormente tranquillizzante, costituendo il minore l’unico centro di attenzione, cura e interesse degli altri congiunti”. Questo perché il nucleo familiare della madre comprendeva sì altri figli avuti da un precedente matrimonio, ma entrambi maggiorenni. Mentre le attenzioni del padre si sarebbero inevitabilmente concentrate sul nascituro.

La Suprema Corte ha condiviso questo ragionamento, sostenendo che “l’individuazione del genitore collocatario deve aver luogo sulla base di un giudizio prognostico circa la capacità dello stesso di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dal fallimento dell’unione”.

La preferenza per il collocamento presso la madre è scaturita quindi da una comparazione tra le caratteristiche del nucleo familiare della madre e quelle della famiglia del padre. Confronto nel quale sono risultate decisive “le maggiori attenzioni di cui il minore avrebbe potuto costituire oggetto nel primo ambiente”.

Alla luce della sentenza d’appello, il padre aveva chiesto di trascorrere un maggior numero di giorni o periodi di durata superiore con suo figlio. Una richiesta ritenuta però  dalla Corte di Cassazione “incompatibile con l’instaurazione di regolari abitudini di vita e con lo svolgimento delle attività scolastiche e ricreative” del minore. L’intensità del rapporto, infatti, secondo i Supremi Giudici, deve essere valutata “non solo e non tanto in termini quantitativi, ma anche e soprattutto in termini qualitativi, in relazione all’impegno profuso dal genitore”.

 

Fonte: Il Sole 24 Ore