“La melassa buonista dell’adozione internazionale”

congoHa destato forti reazioni l’articolo pubblicato dall’Agenzia Dire (www.dire.it), a firma di Silvia Mari, intitolato “Bimbi del Congo e adozioni internazionali: un figlio a qualunque costo?” e riportato da Ai.Bi. News giovedì 29 gennaio. Riceviamo e pubblichiamo la replica della diretta interessata alla risposta di Valentina Griffini e ai commenti dei numerosi lettori.

 

Carissimi,

non seguo e non amo rimanere invischiata nelle polemiche del web che hanno l’unica virtù di essere veloci e aggressive, senza il disturbo di una vera dialettica.

Trovo aberranti i commenti, gli inviti e le etichette di cinismo assegnate alla mia persona solo ed esclusivamente solo per aver espresso un punto di vista poco allineato con il patetico dibattito italiano. Vi invito a rileggere il mio articolo e a rilevare un solo passaggio in cui io disconosca il valore assoluto, quale invece ritengo abbia, la scelta di adottare un figlio che sia nelle forme di un’adozione vera e propria o di un supporto a distanza. Vi invito a trovare un solo paragrafo in cui io abbia espresso pareri di merito sulla scelta di questi genitori di adottare un figlio. Vi invito a trovare una riga in cui abbia espresso una condanna sugli enti e le ong che meritoriamente sono impegnate sul campo umanitario e su quello delle associazioni. Vi invito a dirmi dove io abbia sottostimato il dolore e il degrado di tanti istituti di orfani. Enfasi, le vostre, e proiezioni di una melassa buonista che spesso porta tanti figli adottivi a sentirsi grati verso i genitori adottivi, falsando la gerarchia di un rapporto che è ammirevole solo e solo se diventa del tutto sovrapponibile a quello di un biologico rapporto genitori-figli.

Vi invito infine ad abbandonare il metodo, molto in voga nel nostro Paese, di pretendere patentini biografici ed esperienziali per avere il diritto di esprimere un’opinione che meriti rispetto e attenzione.

Non mi piace l’esibizione della propria vita come curriculum di abilitazione per poter parlare di questo o di quell’altro tema. Pretendo piuttosto che ci sia studio, analisi, competenze e neutralità- almeno il più possibile – di giudizio. L’idea che solo chi adotta o è adottato o è madre possa parlare di questo fenomeno è un modo per spacciare l’emotività, il dramma, il pathos per argomentazione o per ragione. Il piano dell’esperienza, che pure è importante, non vale come criterio assoluto di giudizio. Forse quando siamo stati chiamati a votare sulla fecondazione assistita hanno votato solo le donne in età fertile che non riuscivano ad avere figli? O hanno votati tutti, comprese le nonne e i vostri mariti e padri? Che criterio è questo che spacciate per parametro di attendibilità?

Non mi spaventano, anzi suscitano il mio massimo rispetto, le differenze e le critiche, Ma respingo con rammarico la violenza verbale usata nei miei riguardi. Dal cinismo di cuore, alle vacanze in Sardegna, alla mia maternità, ai miei viaggi in Africa. Nessuno di voi sa, perché detesto la moda delle vetrine su Facebook, quale sia la mia vita, il mio patrimonio familiare – anche sul tema dell’adozione -, il mio impegno e legame con l’Africa e non solo con l’Africa. Eppure tutti, nel leggere un punto di vista legittimamente  non condivisibile, vi siete lanciati in un identikit che, aldilà della sua falsità o meno che non mi interessa appurare, è conforme alla drammatizzazione con cui è in voga – dai talk show in su – parlare di questi fenomeni per strappare applausi.

L’equazione tra adozione e bontà oltre ad essere ingenua, è falsa. Credete che Madonna che va in Malawi a comprare bambini sia uguale a queste coppie del caso Congo? Credete che non accada che genitori naturali analfabeti vengano raggirati con la promessa che i figli vadano in Occidente a studiare? Credete che non accada ancora che i bambini diventino prostituti sulle nostre strade o donatori di organi?

Credete che io non sia informata e che non conosca certe realtà direttamente,  unicamente sulla base di un pregiudizio che avete formulato a partire dal fatto che ho scelto di ricordare, mentre tutti inveivano contro lo stato del Congo aprioristicamente, che tanti casi di adozione diventano stillicidi economici (accessibili per pochi), business per mascalzoni mascherati da agenti intermediari, e vere e proprie missioni spirituali per sedicenti santoni affiliati a chiese paracristiane che assomigliano sempre di più a banche e lobby. Se la stessa manovra l’avesse fatto uno stato liberale occidentale non sareste saltati dalla sedie, ma avreste concesso un legittimo dubbio. Questo e non altro il centro del mio lavoro. Bastava leggere senza escandescenze emotive per non aver trovato un’ennesima santificazione delle coppia italiane.

Se qualcuno dovesse fare una ricerca sul mio conto non troverà le credenziali curriculari che chiedete, dalla maternità, all’adozione, ai viaggi in Africa, alla collaborazione con fonti e giornalisti africani che si occupano di questi temi. Si tratta di vita privata e non di una vetrina. Ma troverete, invece, una testimonianza su una scelta di salute molto particolare che ho deciso di rendere pubblica perché utile a salvare la pelle a molte donne. L’ho fatto non perché credo di essere l’unica titolata a parlare di questa sindrome rara (ecco la mia distanza con voi), ma perché la testimonianza aiuta e trasmette emozioni e valori. Questa è una differenza che considero fondamentale e lo ritengo il vero rammarico nel leggere i vostri commenti che sono più figli del buonismo ferito che dell’esame e della riflessioni. Se vogliamo evitare che tanti bambini finiscano nelle mani sbagliate solo perché figli del sud del mondo dovremo usare meno sdegno e meno scandalo quando si decide di fare chiarezza. Aver scelto di adottare un figlio non da certificati di onestà e bontà.

L’adozione anche quando va a buon fine spesso lascia tracce problematiche nella psiche di tanti ragazzi. Dolori, traumi portano al suicidio, visto che ne scrivete, anche dentro ottime e sanissime famiglie come accaduto al giovanissimo Habtamu, studente di 14 anni di origine etiope.

Il mio articolo mirava a dare un’altra luce del fenomeno, a porre un sano dubbio, a preoccuparsi della contiguità con forme di traffico dei minori, ad assicurarci che la scelta onorevole di queste coppie non faccia da salvacondotto per quanto di poco nobile gira intorno ai minori, specialmente se poveri e del sud del mondo non aggiungo se meticci o neri, visto che ora in Occidenta va improvvisamente di moda mentre anni fa erano preferiti gli organi di pelle bianca.

Non credo che riconoscere questo significhi non essere dalla parte degli orfani. Semmai due volte di più senza chiedere per questo attestati di lacrime e bontà sulle prime pagine dei giornali.

 

Silvia Mari