La missione e la gioia di annunciare, ieri come oggi, il Vangelo all’umanità intera

annuncio vangeloIn occasione della XIV Domenica del Tempo Ordinario, la riflessione del teologo don Maurizio Chiodi prende spunto dai brani del Libro del profeta Isaia (Is 66,10-14c), della Lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati (Gal 6,14-18) e del Vangelo secondo Luca (Lc 10,1-12.17-20).

 

Potremmo ‘intitolare’ con due parole il senso fondamentale della Parola di questa domenica: missione e gioia.

Mentre Gesù si è decisamente messo in cammino verso Gerusalemme, prende un’iniziativa sorprendente. Tra i suoi discepoli – oltre la ‘cerchia’ dei Dodici inviati a Israele (cfr. Luca 9, 1-6) – ne sceglie settantadue («designò») e li invia «a due a due» – perché ciascuno confermi la testimonianza dell’altro – «davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi».

Qui ci sono due aspetti da sottolineare.

Anzitutto il numero «settantadue», che indica chiaramente l’universalità del compito di questi discepoli: il Vangelo è destinato a tutti!

Gesù ne sceglie molti (la Chiesa), per arrivare a tutti, l’umanità intera.

Questo è il compito, anche oggi, dei discepoli di Gesù, la Chiesa: diffondere, annunciare, spargere, portare il ‘profumo’ di Cristo, la gioia del Vangelo, il «vanto» della croce di Gesù – perché noi ci possiamo vantare’ solo della grazia che ci è stata abbondantemente donata. Il Vangelo non è una conquista umana, a forza di volontà e di impegno, ma è l’accoglienza di una grazia, la grazia che è Gesù! –.

E poi c’è un secondo aspetto: questi settantadue sono inviati a ‘precedere’ Gesù. Lo anticipano, e non concentrano lo sguardo su loro stessi, ma si riferiscono ad un altro.

Sono dei ‘precursori’, che non hanno nulla da dire in proprio: sono testimoni. È Gesù che li ha scelti, non viceversa! È Gesù che li invia, è lui che essi annunciano.

Gesù li accompagna con delle ‘istruzioni’ molto belle, dettagliate, che danno il tono a questa missione.

La prima parola è caratterizzata da un verbo all’indicativo presente: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai!».

È una piccola, piccolissima parabola, anzi un’allegoria: la messe è il mondo intero (ne manda «settandue»!) e gli operai, quelli che vi lavorano, «sono pochi».  Questi ‘molti’, questo popolo, che è la Chiesa, qui rappresentata da questi «settantadue», in realtà sono ‘pochi’. Li attende un grande campo e un notevole impegno: per raccogliere i frutti della messe, occorre arare, concimare, seminare, irrigare, far crescere, mietere, raccogliere, poi lavorare, macinare, distribuire, impastare, cuocere, fino al dono del pane, che sarà così insieme il ‘frutto della terra’, cioè dono di Dio, e ‘del lavoro dell’uomo’, cioè frutto del nostro impegno, della nostra risposta al dono di Dio, alla sua grazia!

Per questo il primo imperativo, in queste ‘istruzioni’ di Gesù, è: «Pregate … il signore della messe …».

È bello che la nuova versione abbia tradotto «signore», invece che l’antico ‘padrone’. Così è ancora più evidente che è Dio il ‘Signore’ dal quale ‘dobbiamo’ invocare coloro che ‘lavorano’ nella messe, ciascuno con i diversi compiti che questo grande lavoro richiede: c’è chi semina, chi irriga d’acqua, chi raccoglie, chi macina, chi distribuisce.

Quanto bel lavoro c’è nel campo di Dio, che è il mondo!

È come se Gesù dicesse: “prima di andare, affidate a Dio il vostro impegno, le vostre attività, per non cadere nello scoraggiamento, di fronte a tanto lavoro e per non cadere nell’affanno, di chi pensa di dover fare tutto da solo! Mettete l’opera vostra nelle mani di un Altro! Abbandonate il vostro agire all’opera sua. Così, tra l’altro eviterete di litigare tra voi, dimenticando che il campo del vostro lavoro non è vostro, ma è di un altro. È da lui che siete mandati ed è suo anche il ‘vostro’ raccolto”!

È da questa fondamentale fiducia che scaturisce lo stile della missione di questi «settantadue» discepoli.

«Come agnelli in mezzo a lupi: non illudetevi che sia facile, che non ci siano pericoli e minacce da affrontare, non pensate che non incontrerete opposizioni, resistenza, violenza.

«Non portate borsa…»: non assicuratevi, con diecimila precauzioni, con provviste, mettendo la vostra fiducia in voi stessi e nelle nostre risorse.

«Non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada»: la missione che avete ricevuto è urgente, non tollera rimendi, contrattempi, perdita di tempo, perché i vostri personali interessi sono secondari rispetto al ‘mandato’ che avete ricevuto. Puntate diritto all’obiettivo, che non è certo quello di essere sgarbati, non ‘salutando’ nessuno!

«“Pace a questa casa!” »: annunciate la pace messianica, la pace che è la pienezza e di vita e di relazioni che solo Dio può donare. Questa pace è grazia, è dono da accogliere. La porterete di famiglia in famiglia, di casa in casa; per questo la comunità cristiana, sul territorio, si chiama ‘parrocchia’: perché è tra le case, tra una casa e l’altra. Lì la Chiesa annuncia la pace di Gesù!

«Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui … ». Il dono della pace non è una magia. È come la pioggia che richiede la terra, è come il seme che richiede un terreno in cui crescere!

«Restate in quella casa…», con semplicità, non andando a cercare una casa in cui vi diano onori, privilegi, trattamenti di favore. Non abbiate pretese per voi stessi. 

«Quando entrerete in una città …»: è uno sguardo largo, quello che ci invita ad avere, Gesù! Non ci limitiamo, nel nostro annuncio, all’intimità della casa, dove stiamo bene. Si allarghi, il nostro sguardo, alla società intera, ai rapporti degli uomini nella città! L’annuncio del Vangelo tocca anche la politica, la cultura: non si riduce ai rapporti privati, puramente personali.

«Guarite i malati …»: nella città Gesù chiede ai suoi di prendersi cura di chi è debole, di chi soffre, di chi è trascurato, di chi non può provvedere a se stesso, di chi dipende dagli altri. E dà Lui il potere di guarire – e così accadrà se avranno fede –.

E aggiunge: mentre «guarite… dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”».  La vostra cura sia segno efficace della cura di Dio! Non limitatevi a dire belle ‘parole’ … Nelle opere concrete siate voi stessi il segno reale, storico, di un Dio che si fa povero.

Come sapranno «che il regno di Dio è vicino”»  se non grazie a voi?

Alla fine «ì settantadue tornarono pieni di gioia. Erano felici che anche «i demòni», lo spirito del male che angustia l’umanità, si ‘sottomettevano’ loro.

Gesù dice a questi suoi discepoli: «rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli». Certo, è motivo di gioia che la grazia sconfigga e annichilisca il male.

Ma, molto più, è motivo di gioia il dono della salvezza!

E qui c’è la bellissima prima lettura, che è (quasi) la conclusione del libro del profeta Isaia. Sono delle parole bellissime, «come un fiume», che porta «la pace, come un torrente in piena» che porta la consolazione di Dio.

La parola del profeta invita a rallegrarsi con la Gerusalemme salvata: invita a rallegrarsi con il popolo dei credenti!

È una parola rivolta a chi era «in lutto», e a chi ha conosciuto la sventura, la deportazione, l’esilio, la tragedia della perdita di tutto: «rallegratevi…», «sfavillate … di gioia tutti voi…», «vi sazierete…», «succhierete e vi delizierete al petto della sua gloria».

Come un bimbo che, felice, si allatta al petto della madre, così i credenti si sazieranno dell’abbondanza della grazia di Dio, in Gesù. Amen!