Con la parola di Dio, come attraverso un parto, arriveremo a una nuova nascita

gesù parla agli apostoliPer questa XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, la riflessione del teologo don Maurizio Chiodi prende spunto dai brani del libro del profeta Malachìa (Ml 3,19-20), della seconda Lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicèsi (2Ts 3,7-12) e del Vangelo secondo Luca (Lc 21,5-19).

 

Siamo oramai (quasi) alla fine dell’anno liturgico: la prossima domenica sarà dedicata al Signore Gesù, Re dell’Universo. Perciò la Parola di Dio ci invita a guardare al futuro che ci attende e verso il quale siamo protesi.

È un futuro di fuoco e di luce, dice il profeta Malachia, ma non dobbiamo averne paura. È un futuro che ci farà passare attraverso il travaglio di una storia dolorosa, ma sarà come un parto, per una nuova nascita, dice il Vangelo.

Nel frattempo, tutto questo non ci allontana affatto dalla terra, come dice la seconda lettura, ma ci chiede di vivere oggi con impegno, dedizione, e tranquillità!

Il profeta, nella prima lettura, annuncia il giorno del Signore. Sarà un «giorno rovente come un forno».

E’ un’immagine a due facce. «I superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia» in quel giorno «saranno» bruciati «come paglia». A ben pensarci, è un’immagine terrificante: «quel giorno, venendo, li brucerà – dice il Signore degli eserciti – fino a non lasciar loro né radice né germoglio».

Potremmo interpretare, superficialmente, questa immagine come una parola che annuncia un castigo, una punizione.

In questi giorni, poi, ci sono state molte polemiche riguardo a delle sciagurate parole, dette in una radio molto famosa, con cui un sedicente teologo parlava del recente terremoto in centro Italia come un castigo divino per l’approvazione nel nostro paese della legge delle unioni civili!

Qualcuno potrebbe dire: vabbè, forse Dio non ci punisce adesso, ma un giorno sì, ci punirà e ci castigherà!

In realtà, in modo molto più profondo, queste parole non ci annunciano affatto il ‘castigo’ di una sentenza già scritta, senza misericordia!

Le parole del profeta vogliono aprire gli occhi a coloro che oggi commettono ingiustizia con superbia. La parola di Dio dice: “le loro opere si dissolveranno, andranno a finire in nulla. I superbi, coloro che disprezzano Dio e i fratelli, un giorno soffriranno del male fatto e questa sarà per loro come una vergogna che li brucerà dal di dentro”.

Questa parola è un appello non alla paura, ma alla responsabilità della nostra libertà. La domanda vera è: “come rispondo io a questa Parola che oggi mi pro-voca?”.

Se tutti ci convertiamo a questa Parola, per nessuno, allora, ci sarà da temere, sconvolti dalla paura.

Infatti, dice ancora il profeta: «Per voi, che avete timore del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia». Qui, come sempre nell’Antico Testamento, la parola «timore» del Signore indica ‘fiducia’ nella potenza del Dio che fa alleanza con il suo popolo. Dunque, coloro che si fidano del Signore, non hanno nulla da ‘temere’ nel giorno in cui lui verrà! Anzi, per loro, quel giorno sarà luminoso e splendido, sarà un giorno benefico, di gratuità e di grazia, un giorno di bene e di luce!

Questo, naturalmente, non ci autorizza affatto a essere superbi, ma fiduciosi.

Ci affidiamo a lui, anche quando compiamo il male, perché ci perdoni.

Ci affidiamo a lui, nella beata certezza di una speranza che nasce dall’abbandono a una grazia che è infinitamente più grande delle nostre miserie, meschinità e peccati!

Anche il Vangelo parla della fine, sovrapponendo varie immagini.

Gesù parla della fine del tempio.

E parla anche, in un breve cenno, di un’altra fine, quella di tutte le cose.

E questo ci fa pensare, inevitabilmente, anche alla nostra fine, quando arriverà, prima o poi, con assoluta certezza, il tempo della nostra morte.

Gesù guarda le «belle pietre» e i «doni votivi» che ornavano il tempio e, con lucidità, dice che ci sarà un giorno in cui di queste bellezze «non sarà lasciata pietra su pietra».

Non è solo la fine naturale del tempio, che, tra l’altro, quando Luca scriveva il Vangelo era già accaduta perché i romani avevano già distrutto e raso al suolo tutta Gerusalemme.

La fine del tempio, nelle parole di Gesù, annuncia la fine dell’antica alleanza o, meglio, il compimento dell’antica alleanza, con la nascita di un nuovo tempio, che è il tempio del suo corpo.

Gesù ci invita a riconoscere questo tempo di grazia, per diventare noi il suo corpo, oggi, nella storia, il tempio di Dio che abita tra noi, grazie a noi, grazie a chi lo accoglie con fiducia e speranza!

Quelli che ascoltano le parole di Gesù gli chiedono: “quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno …?”.

Non hanno capito, non potevano capire. Sono preoccupati del ‘quando’, vogliono sapere di preciso il tempo in cui tutto ciò accadrà. In fondo, non si fidano …

E Gesù risponde loro, mettendoli in guardia dall’inganno: «Badate di non lasciarvi ingannare».  E li invita a credere e a sperare nel suo ‘nome’, cioè in lui. Chiede loro di non seguire nessun altro, di non credere – lasciandosi ingannare – a nessun altro, se non alle sue parole, a lui!

«Ma non è subito la fine».

Questo mi pare un cenno ‘discreto’ alla fine di tutto, la fine di questo nostro mondo.

La promessa di Gesù ci autorizza a guardare alla ‘fine’ della storia con uno sguardo carico di fiducia e di speranza: la ‘fine’ della storia in lui è già cominciata perché è già compiuta: «nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto».

È una storia di salvezza, una storia di grazia, di redenzione e di riscatto.

Da qui la nostra fiducia perseverante: «Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita». “La salverete, la vostra vita, non da voi stessi, fidandovi presuntuosamente delle vostre opere, ma affidandovi umilmente alla grazia sollecita e premurosa di Dio che si prende cura di voi!”

La perseveranza fiduciosa è necessaria, perché sarà – è! – un tempo difficile.

Gesù usa delle immagini tipiche del linguaggio apocalittico – quello della fine – parlando di «terremoti, carestie e pestilenze».

E poi usa immagini molto concrete, che per la prima comunità cristiana erano esperienza di tutti i giorni: il tribunale delle «sinagoghe», le «prigioni», il giudizio di «re e governatori». Ma ci invita alla testimonianza: questo tempo difficile sarà per noi «occasione di dare testimonianza» a lui. Potremo sopportare con fiducia qualsiasi tradimento e odio, se ci fidiamo di lui e della sua parola.

Da qui comprendiamo anche che questo nostro tempo è per noi un tempo di impegno fiducioso e tranquillo.

Paolo ha parole molto dure verso i cristiani che vivono «senza fare nulla e sempre in agitazione».  

E nel nome di Gesù li esorta e anzi ordina loro «di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità».

È un lavoro senza affanno.

È una fatica affrontata con fiducia. Perché noi sappiamo in chi abbiamo messo la nostra fiducia.

E la nostra speranza non sarà delusa. Mai!