La via crucis delle #adozioni

tribunaliDi fronte alla totale paralisi delle adozioni internazionali, da certa magistratura italiana ed europea, con la complicità del Parlamento e del Governo, viene promossa la pretesa di adozione degli omosessuali. Ma il cammino per donare una famiglia a un bimbo abbandonato delle coppie “normali” è sempre più irto di difficoltà, ostacoli e costi gravissimi. Se ne parla in questo articolo, che riportiamo integralmente, pubblicato sul quotidiano “La Croce” venerdì 17 marzo.

 

“Quando si tratta di adozioni il sistema mediatico tende a girare la testa dall’altra parte e a ignorare i problemi di milioni di bambini abbandonati in attesa di una nuova famiglia. Con una sola eccezione: quando a voler adottare è una coppia omosessuale. In questo, l’attenzione dei media si accompagna a quella di certa politica e di certa magistratura, attive da anni nell’aprile la strada, a colpi di propaganda e di sentenze, all’adozione gay”. Ora chi si permetterà di bollare l’associazione Amici dei Bambini (Ai.Bi.), una delle maggiori a livello nazionale che si occupa di adozioni e affido, di “omofobia”? Eppure, nel suo ultimo comunicato, l’associazione guidata da Marco Griffini le canta chiaramente, e giustamente, a fronte di una situazione dell’ultimo triennio, connotata da una totale paralisi del settore delle adozioni internazionali, che è passata quasi totalmente sotto silenzio tanto a livello politico quanto mediatico (cfr Amici dei Bambini, Tribunali per i minorenni: avanti tutta con le adozioni gay, ma la Kafala assolutamente no, in “News Ai.Bi.”, 10 marzo 2017). Solo per fare un esempio: il nostro Paese è da anni al secondo posto nel mondo come terra di accoglienza e adozione per i bambini bulgari. Secondo gli ultimi dati, l’Italia ha fatto segnare un crollo del 36% nel numero di adozioni fra il 2015 e il 2016, passando dai 77 abbinamenti del 2015 ai 49 dell’anno successivo (cfr Bulgaria. I dati del 2016: Francia raddoppia, Spagna stabile, ma Usa e Italia crollano, in “News di Ai.Bi.”, 8 marzo 2017).

“La maggior parte dei media – denuncia l’Ai.Bi. – ha del tutto ignorato un disastro su tutta la linea, che ha visto dimezzarsi nel giro di pochi anni il numero di minori stranieri adottati nel nostro Paese e crollare i dati sulle coppie di aspiranti genitori adottivi. Mentre l’Autorità Centrale italiana – che non si riunisce dal 2014 ed è diretta in modo personalistico da una sola persona – abbandonava a sé stesse le famiglie, lasciandole senza informazioni, senza affiancamento e senza sostegno economico”. Insomma, siamo vicini all’estinzione del meritorio movimento per l’adozione internazionale? Dipende, rispondono giustamente dall’associazione: “Basta che il tema delle adozioni intersechi quello dei diritti degli omosessuali, ed ecco che, come per magia, le luci della ribalta tornano a concentrarsi su questa realtà. Come sta accadendo in questi giorni in merito alla sentenza del Tribunale per i Minorenni di Firenze che ha concesso la trascrizione in Italia dell’adozione di due fratellini da parte di una coppia gay italiana residente in Gran Bretagna”.

L’incredibile sentenza, evidentemente “contra legem”, non fa evidentemente onore ai giudici di Firenze che l’hanno firmata, ordinando per la prima volta in Italia la trascrizione di un’adozione omosessuale realizzata all’estero, nella più totale inosservanza del divieto presente nella legge sulle adozioni, che prevede all’uopo la necessaria presenza di una madre e di un padre adottivi regolarmente coniugati. La citata sentenza, come abbiamo denunciato su queste colonne, “dipinge un supposto beneficio per il minore nella omogenitorialità. Ogni sentenza vale solo per il caso singolo, ma è ovvio che questa ha l’intenzione di costituire giurisprudenza, anche se è prevedibile che i ricorsi in appello e in cassazione potranno modificare l’esito finale della contesa giuridica”: (#Gay, ora anche l’adozione, in “La Croce quotidiano”, 11 marzo 2017, p.1).

Saranno quindi le coppie omosessuali, si chiedono provocatoriamente gli “Amici dei Bambini”, “a dare un futuro all’adozione internazionale e all’accoglienza dei bambini abbandonati? Ma perché solo le adozioni gay ricevono una tale spinta mediatica, politica e giudiziaria? Non dobbiamo trascurare, infatti, che c’è un grande dimenticato: la ‘Kafala’”. Nel diritto islamico la Kafala, che è anche richiamata dalla Convenzione ONU di New York del 20 novembre 1989, identifica un istituto sotto diversi aspetti simile a quello che negli ordinamenti occidentali è costituito dall’affidamento illimitato o ‘sine die’, In pratica chiunque può assumersi l’impegno di provvedere alle necessità di un bambino abbandonato, senza però attribuirgli il proprio nome. La legge coranica, infatti, riconosce esclusivamente la filiazione legittima, poiché ogni rapporto sessuale al di fuori del matrimonio e del concubinato è considerato illecito ed il rapporto giuridico che lega il genitore al figlio deve necessariamente collegarsi alla generazione biologica.

Considerando il trattamento nel nostro Paese di questo istituto di diritto islamico che, nei Paesi di fede musulmana, sostituisce l’adozione, risulta confermato il paradosso: gli Lgbt, lungi dall’essere una categoria “discriminata”, appaiono destinatari di vere e proprie condizioni di privilegio! L’Italia, infatti, ha ratificato nel 2015 la Convenzione de L’Aja sulla protezione dei minori che, tra le varie forme di tutela, prevede anche la Kafala ma, come rileva l’Ai.Bi. “al momento della ratifica il nostro Parlamento ha stralciato proprio gli articoli relativi alla Kafala, rinviandone il dibattito a una fase successiva e lasciando di fatto la questione per il momento in sospeso. Ciò che manca quindi è la volontà politica di riconoscere questa forma di accoglienza. Con il risultato che, negli anni, la maggior parte delle domande di visto per il ricongiungimento famigliare avanzate nell’interesse di minori in Kafala è stata respinta dalle autorità italiane” (art. cit.) Una decisione, quest’ultima, che appare in contrasto con quanto affermato in tema di affidamento dalla Cassazione, per la quale lo stesso deve essere riconosciuto anche quando disposto secondo il rito islamico (cfr. Corte di Cassazione civile, Sezione I, 17 luglio 2008, n. 19734).

Premesso che abbiamo personalmente diverse perplessità sul riconoscimento pieno e incondizionato della Kafala nel nostro ordinamento, quello che ci preme sottolineare, in totale consonanza con l’associazione degli “Amici dei Bambini”, è la violazione del principio di uguaglianza che, da una parte promuove senza se e senza ma l’adozione gay e, dall’altra, penalizza i minori provenienti da Paesi di fede islamica. “Discriminazione – precisano dall’Ai.Bi. – che colpisce anche le coppie (miste o con uno dei componenti originario di un Paese islamico) che fanno richiesta di Kafala, a differenza di quanto accade invece per quelle coppie omosessuali a cui la magistratura accorda il diritto di adottare”.

E’ allora il caso che, anche in tema di adozione affido, la politica e la magistratura facciano la loro parte per ricominciare a sostenere le migliaia di coppie sposate che volendo adottare, sono sottoposte a un lunghissimo e durissimo iter di selezione e valutazione tra colloqui con i servizi sociali e con il Tribunale. Perché? facile, perché sono colpevoli di essere “normali” e, perciò, “vengono letteralmente tartassate da un’oscena via crucis”: (Amici dei Bambini, Tribunali per i minorenni: avanti tutta con le adozioni gay, ma la Kafala assolutamente no, art. cit.).

A fronte di questi problemi, l’attenzione della politica e della magistratura sembra invece concentrarsi solo sulle adozioni gay. In nome di un presunto mutamento del clima culturale che giustificherebbe quello che sembra piuttosto un pressing politico e giudiziario che rischia di dare vita a una vera e propria dittatura ideologica.