“L’abbandono di mia figlia è un segreto che porto con me da 35 anni. E tale deve rimanere”.

mamma anonimaRicorda soltanto il pianto della nascita. Anche ora a distanza di anni: ben 35 da quando ha deciso di lasciarla in quell’ospedale dove l’ha partorita. Un segreto che tiene con se’ e che, in quanto tale, non ha condiviso con nessuno: né con il marito, né con i suoi figli avuti successivamente. Un segreto con cui convive e che vuole mantenere tale. Anche con la stessa figlia, avuta 35 anni fa, che ora ha chiesto di incontrarla. Ma lei, Adele ( nome di fantasia), la donna che l’ha partorita, non se la sente. Quella di Adele,  “mamma anonima” è la storia di una scelta diversa da quella di altre donne che invece, rinunciano all’anonimato accettando di incontrare quel figlio abbandonato anni prima.

La storia di Adele, raccontata sulle colonne di Repubblica, che come precisa Melita Cavallo, presidente del Tribunale per i minori di Roma,  “è una delle poche. Perché su quindici istanze di figli che hanno chiesto alle madri di rimuovere l’anonimato, tredici donne hanno accettato e due hanno detto di no”. Libertà di scelta.

“LEI è rimasta sepolta nel mio cuore – racconta Adele -. Qui, dentro di me. Avevo soltanto 16 anni, mio padre mi obbligò a lasciarla in ospedale. Ho altri quattro figli, e ad ogni parto il loro pianto mi ha ricordato il suo pianto, la sua voce di bambina appena nata e subito perduta. Ma oggi non posso incontrarla, capitemi, non posso. Mio marito e i miei ragazzi non sanno nulla, nessuno sa nulla, forse il mio silenzio è stato un errore, ma questa notizia potrebbe sconvolgerli, distruggere la famiglia. Non cercatemi più: quella nascita è il mio segreto e tale deve restare“.

Nel 1980, poco più che adolescente, Adele resta incinta: viene portata a Roma, partorisce in un grande ospedale della periferia, e lascia la sua bambina, chiedendo di restare anonima. Tutto ritorna a galla tre mesi fa quando, su mandato del presidente del Tribunale per i minori di Roma, un’assistente sociale la cerca e la contatta. Con delicatezza e cautela. “Signora, sua figlia vorrebbe incontrarla, ha presentato un’istanza…”. Ma Adele dice no. E affida il suo racconto, quello di una vita a metà, all’assistente sociale. La sua busta adesso, con i dati di quel dramma giovanile, verrà di nuovo blindata. Per sempre. Nei cassetti del tribunale di Roma.

Non sono mai riuscita a dimenticare, ma la mia vita è andata avanti: quel segreto è restato un segreto. Forse è stato il condizionamento di mio padre, o la vergogna di aver abbandonato la bambina. Ho vissuto il presente, seppellendo il passato. Riaprire dopo 35 anni quel capitolo sarebbe un disastro per tutti“.

“Spesso penso che avrei dovuto raccontare tutto ai miei compagni – continua -, ai miei figli. Magari avrebbero capito, ma adesso è troppo tardi. Resterò anonima, come dice la legge”.

Adele dunque risponde “no” alla richiesta di quella bambina nata 35 anni fa, e cresciuta con una famiglia adottiva.  Eppure Adele non chiude tutte le porte. Accetta comunque di “aiutare” la figlia: accetta che il tribunale renda noti i suoi dati sanitari. “Non voglio incontrarla ma è giusto che sappia da chi proviene. E possa capire se la malattia di cui soffre ha un’origine genetica. Forse è un risarcimento, per me e per lei. Siamo state vittime entrambe, oggi la società è diversa. Il passato però non si cambia, lo lascerò sepolto nel mio cuore”.

Fonte: www.repubblica.it