L’ascolto non è altro dall’ospitalità, anzi ne è come la forma più profonda

Nella XVI Domenica del Tempo Ordinario, la riflessione del teologo, Don Maurizio Chiodi, prende spunto dalla Prima Lettura Dal libro della Genesi Gn 18,1-10°, dalla Seconda Lettura Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi Col 1,24-28 e dal Vangelo Dal Vangelo secondo Luca Lc 10,38-42 

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Dopo la splendida parabola del buon samaritano, la scorsa domenica, oggi il Vangelo ci offre una scena altrettanto famosa, riferita però ad un racconto della vita di Gesù.

Lungo il cammino, ad un certo momento, Gesù arriva in un villaggio, probabilmente Betania, e viene ‘ospitato’ da «una donna di nome Marta», dice il Vangelo di Luca. Qui si sottolinea che è Marta ad ospitare Gesù, anche se il racconto parla anche di Maria. Dal Vangelo di Giovanni, poi, sappiamo di Lazzaro, che era fratello di Marta e Maria e sappiamo che questa ‘famiglia’ era molto vicina a Gesù: erano suoi amici.

Qui però all’evangelista Luca interessa mettere in risalto qualcos’altro.

Potremmo riassumere in due parole questo splendido testo evangelico: l’ospitalità e l’ascolto.

Sono due atteggiamenti, stili di comportamento, modi di agire molto importanti, anzi decisivi per la nostra vita di cristiani, ma sicuramente anche per la vita di ogni uomo e donna. Non si può vivere senza l’ospitalità e l’ascolto.

Anzi, senza ospitalità e ascolto la vita si chiude in se stessa e diventa … un inferno! Tanto sono importanti l’ospitalità – di cui parla anche la prima lettura – e l’ascolto.

Non è facile per noi, oggi, parlare di ospitalità. Forse, a qualcuno, subito viene in mente la difficile questione dell’immigrazione.

Non ne possiamo parlare qui, perché è una questione politica molto complessa, che richiede analisi appropriate, attente, al di là di facili slogan, da una parte e dall’altra. Certo, anche qui, l’ospitalità non può essere certo calpestata e annullata.

Ma l’ospitalità non riguarda solo il rapporto con lo straniero, l’immigrato. L’ospitalità riguarda i rapporti che noi abbiamo con i vicini di casa, con chi lavora con noi, con chi incontriamo ogni giorno in mille occasioni, con i bambini e con i vecchi, con tutti.

L’ospitalità riguarda anche i rapporti in famiglia, tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra fratelli e sorelle e poi via via tra amici.

In questa nostra cultura, non possiamo nasconderlo, per mille motivi è diventata più difficile l’ospitalità.

Spesso questi motivi sono fondati e giustificati. Altre volte nascono da un modello di vita molto competitivo, che vede nell’altro più un ostacolo che un dono, più un competitore che un collaboratore, più una minaccia che una presenza buona.

Dobbiamo quindi evitare delle facili retoriche, quando parliamo di ospitalità. Ma l’ospitalità rimane una grande virtù, un modo di vivere che non può venir meno.

Pensiamoci bene: ciascuno di noi, quando è venuto al mondo, è stato ‘ospitato’ anzitutto nel grembo materno, e poi, nella ‘sua’ casa, dal papà e la mamma e, magari, altri fratelli e sorelle.

Chi non è stato ospitato ed è stato abbandonato o rifiutato o maltrattato, sa bene, sulla sua pelle, quanto è difficile ‘ospitare’ se non siamo anzitutto ospitati. L’ospitalità, prima che un compito, è un dono che abbiamo ricevuto. È grazie ad essa che siamo qui!

Bene, la Parola di oggi, ci parla dell’ospitalità di Maria in modo essenziale: «una donna, di nome Marta, lo ospitò».

Subito dopo, invece, l’evangelista mette in risalto i rischi dell’ospitalità di Marta, i suoi difetti, addirittura. Il Vangelo dice, da subito, che la preoccupazione di dare ospitalità finisce per ‘distogliere’ Marta dall’ascolto di Gesù: «Marta invece era distolta per i molti servizi».

L’ospitalità non è cosa facile, al di là delle belle parole.

Apparentemente Marta era ‘ospitale’ nei confronti di Gesù, ma in realtà la sua ospitalità si era trasformata in qualcosa d’altro, di eccessivo. Era diventata una preoccupazione, qualcosa che Marta faceva più per se stessa che per il suo ospite divino.

Gesù stesso, sollecitato dalle proteste di Marta, le dice con chiarezza estrema: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose …».

Ecco, l’occupazione era diventata preoccupazione.

La cura era diventata affanno.

L’agire era diventato agitazione.

Marta è un’immagine vivente dei mille rischi e delle mille difficoltà dell’ospitalità.

Gesù stesso ci mette in guardia da tutto questo. Le sue parole sono un monito forte, contro ogni facile retorica dell’ospitalità.

La prima lettura, invece, ci fa vedere la bellezza sublime dell’ospitalità.

Certo, questa splendida storia si riferisce ad un’altra cultura nemmeno contadina, ma addirittura seminomade. Abramo vive in una tenda, presso un’oasi nel deserto, le Querce di Mamre. Per quella cultura l’ospitalità era una cosa sacra.

Il racconto dice che «il Signore apparve ad Abramo alle Querce di Mamre». Ma subito dopo, quando Abramo alza gli occhi, si dice che egli «vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui».

Il Signore gli ‘appare’ nella presenza di tre uomini. Accogliendo questi, Abramo accoglie il Signore e non può accogliere il Signore se non nell’ospitalità verso quei tre.

Il testo è bellissimo e sarebbe molto bello poterlo commentare in tutte le sue sfumature.

Se guardiamo la sua conclusione, siamo però riportati al valore ‘sacro’ dell’ospitalità.

Quei tre, alla fine, parlano come fossero uno solo. Il testo, oggi, finisce così: «Riprese: “Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio”». Come ‘ricompensa’ per l’ospitalità ricevuta, quei tre – che sono uno! – promettono ad Abramo quel figlio che era il segno dell’alleanza e della promessa di Dio, insieme con la terra.

Questo testo suggerisce che è donando che si riceve e si riceve molto più di quanto ci è sembrato di dare. Questa è una ‘legge’ fondamentale per tutti i rapporti umani. È una luce indispensabile per la vita buona.

L’altra parola fondamentale di questo bel Vangelo è l’ascolto. In fondo l’ascolto non è altro dall’ospitalità, anzi ne è come la forma più profonda.

L’ascolto di Maria per Gesù è descritto in modo sublime: «seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola». Qui c’è tutto. C’è tutto, perché c’è Gesù e c’è questa donna che, affascinata, conquistata, catturata dalla sua Parola, non ne vorrebbe lasciare cadere invano nemmeno una briciola.

Maria è come rannicchiata ai piedi di Gesù. È come se non vedesse altri, in quel momento. Maria è entrata in una relazione profonda e personale con Gesù.

E questo è davvero uno straordinario modello per tutti noi.

Maria sembra proprio felice, diversamente da Marta, che chiede a Gesù di rimproverare Maria, ma finisce poi per essere, lei, rimproverata da Gesù.

Maria non si lamenta della sorella.

Anzi, possiamo dire che chi ascolta davvero, non può che essere ospitale. Chi ascolta Gesù, impara a trovare le forme buone per essere ospitale nei confronti del suo fratello, della sua sorella, di chi gli vive accanto, dei vicini e dei lontani.

Per questo Gesù dice che «Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta». Non perché Maria sia migliore di Marta, l’ascolto migliore dell’ospitalità e del servizio, l’azione migliore della contemplazione. Non c’è nessuna opposizione, nessun dualismo.

L’ascolto è l’ospitalità, è il miglior ‘servizio’ che noi possiamo offrire all’altro. Dall’ascolto nasce un modo di entrare in relazione che ci fa davvero ospitali.

Infine, l’ascolto di Maria ci chiede di andare alla radice. È l’ascolto della Parola di Gesù. È l’ascolto della Parola di Dio, un ascolto profondo, paziente, attento. Un ascolto che fa propria la Parola ricevuta in dono, per darla a nostra volta in dono agli altri, nell’accoglienza reciproca.

 

È l’ascolto di una Parola che ci rivela che è Dio che ascolta noi, è Dio che accoglie noi e ci fa grazia.

Questo Lui ci chiede di ascoltare.

Di questo, il Signore ci chiede di essere testimoni

don Maurizio Chiodi