Lettere ad Direttore:“Un bambino in affido è un figlio?”

Gentile Direttore,

Desidero capire qual è la posizione dei Ai.Bi. riguardo l’affido. Ho letto l’articolo su Famiglia Cristiana e, in effetti, non ho ben capito il punto in cui si parla di affido oltre i due anni. Vuol dire che se accolgo un bambino nella mia famiglia, se anche persiste il problema familiare del bambino non posso sperare che l’affido continui con me?
Ne ha parlato il Presidente Marco Griffini nel maggio del 2010.

Grazie mille!

Leggendo la tua domanda ho subito pensato che una risposta adeguata avrebbe richiesto un pesante trattato e una vivace discussione. In realtà, proprio in questi giorni, una mamma adottiva mi ha raccontato un episodio che la dice più lunga di mille noiosi discorsi: facendo una coccola al figlio, la mamma afferma: “ Caro il mio bambino!”, al che lui risponde un po’ seccato: “Non sono il tuo bambino, sono tuo figlio!”. Questo bambino è diventato figlio a 6 anni e lo è da 3, dopo essere stato fin dalla nascita presso una famiglia affidataria.

Credo che questo episodio, con la semplicità e la naturalezza tipica dei bambini, ci dica chiaramente cosa significhi essere figlio.

La domanda che tu poni può avere risposta solo se a monte ci si chiede se un bambino in affido si senta davvero un figlio. E se si, di chi? Nella precarietà dell’affido, che comunque giuridicamente è un intervento temporaneo e che vede nel “sine-die” una deformazione, può un bambino appartenere profondamente, come è suo bisogno vitale e diritto, a una mamma e a un papà? Il bisogno di lasciarsi andare con i genitori affidatari, spesso è in contrasto con l’attaccamento e i frequenti sensi di colpa nei confronti della mamma o del papà da cui sono stati allontanati e che presumibilmente stanno male. Un’altalena di sentimenti contrastanti, dubbi, dolori sono all’ordine del giorno. Ma la speranza che ci possa essere una vita migliore in questi bambini non muore mai. Possiamo noi deluderla?

La legge 149/2001 aveva colto in pieno la necessità del contenere i tempi dell’affido; una sola piccola svista è stata non definire in termini precisi la possibilità di rinnovo dell’intervento generando situazioni a volte mostruose!

La ristrettezza delle risorse purtroppo costringe i servizi sociali a lavorare in emergenza, non ci sono fondi per sostenere le famiglie d’origine ed accompagnarle verso un possibile recupero delle competenze, i tempi dei tribunali sovraccarichi di lavoro sono lunghi … e tanti altri problemi. Risultato: gli affidi sono sempre più lunghi e troppo spesso senza prospettive di rientro in famiglia.

Richiamare l’attenzione sulla temporaneità non è semplicemente porre dei termini temporali drastici; significa anche fare delle proposte concrete perché la legge 149 possa essere attuata nel suo spirito originario. Ai.Bi. che da anni si pone in un’ottica di collaborazione con i servizi sociali nella gestione degli affidi, ritiene che questa strada sia quella da percorrere per garantire ad ogni bambino il diritto di essere figlio. Sono molte le realtà associative che a livello nazionale operano nell’affido e che hanno accumulato tanta esperienza da poter gestire gli affidi, sgravando i servizi pubblici da oneri che non sono ormai più sostenibili.

Quindi la proposta di AiBi non è da leggersi nei termini da te posti: due anni e non più di due, qualunque cosa accada!

La proposta di Ai.Bi. pone il bambino al centro dell’intervento, pone come obiettivo il rientro nella propria famiglia che deve essere adeguatamente aiutata, ma non a scapito del minore che sempre più spesso si trova a vivere nell’attesa che mamma e papà “guariscano”.

Ai.Bi. crede nell’affido come intervento preventivo all’allontanamento definitivo; sostiene l’importanza di utilizzare questo istituto in tutte le sue forme e non solo nella forma residenziale e sine die! Esiste, ad esempio, la possibilità di accompagnare i bambini e le famiglie in difficoltà con affidi part-time, strumento praticamente in disuso.

Sicuramente il tema richiederebbe ulteriori approfondimenti, ma voglio concludere ancora dando la parola ai bambini.

A seguito di una comunicazione da parte dei servizi sociali della decisione di rimandare ulteriormente la decisione definitiva rispetto alla sua situazione familiare Mario, 11 anni, chiede agli assistenti e ai suoi genitori affidatari “perché io non posso essere come tutti gli altri?”