Lettere al Direttore: Quando l’adozione canta. Storia di un’arpa di soli 90 euro

Ciao, io sono S. e oggi vi racconterò la mia storia. Ops! Prima di tutto, io sono un’arpa. Ok, iniziamo a raccontare.

La mia storia inizia in un negozio di strumenti, dove io non ero l’unica arpa, perché in quel magazzino eravamo 10; tutte erano dorate, mentre io ero diversa da tutte le altre, non ero dorata come loro, ma ero marrone, non brillavo ma ero opaca. Io ero stata creata da un bambino che ora non so dove sia, ci hanno separati quando lui aveva solo 5 anni, non so se si ricorda ancora di me, ma sono sicura che ci rincontreremo. Erano le sette di sabato mattina ed era il giorno della musica, quindi persone di ogni tipo e specie venivano a comprare uno strumento, tra cui l’arpa. Quindi ci misero in fila, in modo che tutti ci vedessero. In due ore ne furono comprate la metà e tra quelle io non c’ero. Avevo come la sensazione che non mi volessero comprare, anche se non c’erano scuse, perché costavo meno di tutte: loro 100 euro ed io solo 90 euro. Ma presto mi accorsi che non valevo niente, i bambini mi volevano prendere, ma i genitori dicevano che ero brutta e che preferivano più quelle dorate. Io a udire tutto ciò mi sentivo inutile e sola. Alla fine furono comprate tutte, tranne me. Il giorno successivo, un ragazzo voleva comprare un’arpa e si rivolse alla signorina che si occupava delle arpe, e le chiese se poteva mostrargliene una. Mentre la signorina gli spiegava che erano finite, perché le avevano comprate tutte il giorno prima, il ragazzo mi vide e chiese alla ragazza se poteva prendermi: e lei cercò di convincerlo che ero brutta e di non prendermi; ma lui mi comprò e ritornò felice a casa.

Arrivato in camera sua, io iniziai a suonare da sola. Sentendomi cantare e suonare rimase stupito dal fatto che un’arpa potesse parlare e suonare da sola. Non era quello che mi interessava; non mi interessava se rimaneva stupito, ma che ci credesse. Erano le dieci del mattino seguente e stavamo tutti nel negozio di strumenti, perché ogni persona doveva dire ciò che aveva provato a suonare lo strumento che aveva comprato. Era arrivata l’ora del mio padroncino, e lui mi diede la parola e io, un’arpa, iniziai a parlare e dissi: “Io vorrei trasmettere la mia voce a tutta l’umanità, vorrei dire che delle volte l’apparenza inganna, perché non è migliore o più forte chi è bello, ricco o prepotente. Non è più scemo colui che è povero, brutto e debole, anzi è il contrario, perché la forza di ognuno di noi è nell’anima; è lì che deve essere pulita e ricca una persona. Ma non di soldi, ma di amore, perché prima o poi la ricchezza finisce, mentre l’amore non finisce mai, non si consuma, dura in eterno. Quindi io dico sempre di seguire il proprio cuore e di aprire la mente. Io ho finito di cantare, ma ora tocca a voi sapere apprendere”.
Una volta dette queste parole, scesi dal palco con il mio caro amico e ci riavviammo verso casa, allegri e soddisfatti per tutto ciò che era accaduto.