Lo stupore dell’accoglienza: il dovere di ascoltare il figlio adottato per accettare davvero il suo dono

gesù nella sinagogaI concittadini di Gesù, riuniti della Sinagoga ad ascoltarlo, si stupiscono delle Sue parole. Non sono pronti ad accogliere il Suo messaggio perché presumono di conoscere già tutto di Lui. Da questo episodio evangelico parte la riflessione di don Maurizio Chiodi, assistente spirituale nazionale di Amici dei Bambini e de “La Pietra Scartata”, per domenica 5 luglio.

 

 

PRIMA LETTURA Ez 2,2-5

Dal libro del profeta Ezechiele

 

SECONDA LETTURA 2 Cor 12,7b-19

Dalla seconda lettera di s. Paolo apostolo ai Corìnzi

 

VANGELO  Mc 6,1-6

Dal Vangelo secondo Marco

Partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. 2Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? 3Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. 4Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». 5E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. 6aE si meravigliava della loro incredulità.

 

 

È un passaggio significativo quello indicato dalla Parola di Dio di questa domenica ‘del tempo ordinario’.

 

Dopo aver compiuto molti miracoli, dopo aver predicato alle folle, per molto tempo e con grande frutto, Gesù con i suoi discepoli torna nella sua patria, a Nazareth.

È per lui spontaneo, al sabato, nella sinagoga, mettersi ad insegnare. Lo faceva dappertutto e lo fa anche qui nella sua piccola comunità.

Ma qui, proprio qui, accade qualcosa di strano e di sorprendente. A volte è proprio nelle situazioni che ci sono familiari, che ci possono capitare le cose più inattese e imprevedibili.

 

Il racconto del Vangelo di Marco è, in questo caso, molto dettagliato.

Anzitutto si dice: «molti, ascoltando, rimanevano stupiti».

Lo stupore è un sentimento che ci coglie molto all’improvviso, quando ci troviamo dinanzi ad evento che non avevamo messo in conto. Può essere bello, quando la cosa che ci sorprende ci appare buona, oppure può essere brutto, quando quel che accade ci provoca dolore, irritazione, tristezza, preoccupazione.

Qui nel Vangelo non dice subito in quale linea vada lo stupore degli abitanti di Nazareth, riuniti in preghiera nella loro sinagoga, in uno dei tanti sabati dell’anno …

Lo stupore però è un sentimento che subito viene a parola. Difficilmente stiamo zitti, quando siamo presi dalla meraviglia davanti a qualcosa o qualcuno.

 

Così accade anche per la gente di Nazareth. Tanto più che, nel momento della preghiera, sono li, l’uno accanto all’altro. Si guardano e, spontaneamente, si parlano.

Nelle loro parole, riportate dall’evangelista, c’è un susseguirsi, incalzante, di domande che quasi rimbalzano l’una sull’altra e rispecchiano bene l’alternarsi e l’evolversi del sentire dei Nazareni, che conoscevano tanto bene Gesù o, meglio, che credevano di conoscerlo tanto bene.

Anche questa è una cosa che ci deve far pensare.

Quante volte crediamo di conoscere bene qualcuno perché lo frequentiamo da molto tempo o, magari, viviamo addirittura insieme! Invece ci succede di trovarci di fronte a comportamenti o parole sue che non ci attendevamo nel bene o nel male!

Questa però è una caratteristica del rapporto con l’altro e addirittura anche con noi stessi. L’altro non è mai riducibile ai nostri schemi, alle nostre attese. Tante volte noi vorremmo ‘controllarlo’, sapere tutto di lui. Vorremmo avere tutto ‘sotto controllo’ e non siamo aperti ad accogliere la sua differenza da noi.

 

Così accade anche quando pretendiamo di prevedere tutte le sue parole, i suoi comportamenti, magari anche i suoi pensieri. E così smettiamo di ascoltarlo.

Penso a come questo sia facile nella vita di coppia oppure quando si parla tra amici che si conoscono da tanto tempo. Quando l’altro/a parla, la tentazione è quella di rispondergli subito, come se sapessimo già, per filo e per segno, quello che vuol dire.

Così perdiamo la capacità di ascoltare, di lasciargli terminare il discorso.

Si creano così delle tempeste di parole, che spesso scatenano tanti guai, specialmente quando sono il modo normale di comunicare, specialmente all’interno della coppia, o anche tra genitori e figli, e tra figli e genitori.

 

Succede una cosa analoga anche qui a Nazareth tra Gesù e i suoi compaesani. «Da dove gli vengono queste cose?».

Loro pensano di sapere già tutto di Gesù. Non accettano la sorpresa. Non sono disposti a lasciarsi stupire.

Facciamo così, abitualmente, anche noi davanti a Gesù, alla sua parola. Anzi, anche molti cristiani non si lasciano stupire nemmeno quando, in chiesa, ascoltano il Vangelo. Alle loro orecchie suona come qualcosa di molto lontano, perché sommerso dall’abitudine. Dormono. Perciò non si lasciano scuotere, non si lasciano interpellare.

 

Gli abitanti di Nazareth, che sono riuniti nella sinagoga per pregare e ascoltare la Parola di Dio, come noi adesso, hanno davanti a se le parole sapienti e i gesti prodigiosi di Gesù, ma tutto questo lo prendono a rovescio:«e che sapienza è quella che gli è stata data?», si domandano mentre ascoltano la sua splendida Parola.

E ancora «e i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani?». Vedono le cose straordinarie da lui compiute, ma sembrano come perdersi. Il loro sguardo li acceca. Le loro orecchie si chiudono.

Come dice, nella prima lettura, Dio stesso, mentre chiama il suo profeta: «quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal il cuore indurito».

Questo, come dirà poi Gesù stesso, è il ‘destino’ di ogni profeta. Molto spesso («ascoltino o non ascoltino») la sua parola, nella quale risuona la Parola del Signore, per infiniti motivi, viene respinta, cade nel vuoto.

 

Infine, questa gente si giustifica anche nel suo rifiuto: «non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di … E le sue sorelle, non stanno qui da noi?».

Vedete come pian piano questa gente si ostina sempre più nel suo rifiuto!

Alla fine, sembra esserci quasi una colpa di Gesù. Come se dicesse: “ma chi è crede di essere questo qui? È uno come noi! Si è montato la testa? Sta proprio esagerando. Gli altri – si dicono – li può ingannare, ma noi no! Noi lo conosciamo bene”.

Addirittura, l’evangelista dice che Gesù per loro era motivo di scandalo. Era un ostacolo, un inciampo, un impedimento, un vero e proprio boomerang.

 

La risposta di Gesù è composta e soprattutto di grande franchezza.

Davanti al “muro di gomma” di quanti lo ascoltano, anche con amarezza, dice che “nessuno è profeta in patria”, come diciamo anche noi in modo oramai proverbiale. Questa parola di Gesù, in effetti, per noi è diventata un proverbio che fa parte della nostra cultura.

 

Ma la cosa più sorprendente è quella annotazione che Marco sembra buttare lì, quasi di passaggio, ma che in realtà è la rivelazione di una verità fondamentale: «e lì non poteva compiere nessun prodigio» – anche se poi la parola viene un po’ sfumata: «ma solo impose le mani a pochi malati, e li guarì» –.

Dinnanzi a chi non crede, Gesù si trova come incatenato, bloccato, impedito nel suo agire. Non certo perché Gesù fosse timido o poco coraggioso, no! In modo più profondo, qui si dice che la sapienza di Dio e la sua grazia, che si manifestano nelle opere di Gesù, non sono qualcosa di automatico che piove dal cielo, ma sono l’inizio di una relazione. Così se l’uomo si chiude all’accadere di questa grazia che lo precede ha il terribile ‘potere’ di annullarla, dispone di essa.

Un po’ come quando noi rifiutiamo un dono: non gli permettiamo di accadere.

È bellissima questa grazia di Dio, insieme così potente e debole!

 

Gesù accetta di entrare nella nostra storia. Per lui, per primo, vale quella bellissima parola di Paolo, nella seconda lettura: «la forza si manifesta pienamente nella debolezza». La forza della grazia di Dio, in Gesù si manifesta come una debolezza che è affidata alla nostra libertà.

Quando un uomo e una donna si aprono all’amore del Signore allora permettono all’opera di Dio di manifestarsi in tutta la sua forza e bellezza.

Ma, come dice Paolo, occorre sempre ricordare: «ti basti la mia grazia».

Questa è una parola meravigliosa, non solo per Paolo, ma per tutti noi:

se lasciamo operare in noi la grazia di Dio, allora la nostra vita diventa un miracolo, suo!