L’odissea dei profughi eritrei ridotti a merce e torturati dai trafficanti

ERITREASui barconi dei migranti che tentano la disperata traversata del Mediterraneo nella speranza di giungere in Europa, quella di profughi eritrei è una presenza se non proprio fissa, quanto meno molto frequente. Sono circa 3mila infatti gli eritrei che ogni mese cercano di sbarcare sulle coste settentrionali del Mediterraneo, dopo un viaggio pieno di difficoltà.  Scappano dalla povertà, dalla mancanza di libertà, dall’obbligo di servizio militare per quasi tutta la vita, dai conflitti mai del tutto cessati con la vicina Etiopia, ma la loro fuga in molti casi va incontro a incredibili sofferenze.

La loro odissea è descritta da Aganesh Fessaha, presidente di un’associazione che si occupa di salvare questi migranti dal rischio della riduzione in schiavitù. I profughi eritrei, secondo quanto racconta Fessaha, pagano circa 2mila dollari a qualcuno del governo del loro Paese per passare la frontiera e giungere al confine con il Sudan. Qui, esponenti del governo sudanese li prendono in custodia: se va bene li consegnano all’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, se va male li vendono ai trafficanti di uomini. Questi li cedono poi ai loro emuli egiziani che li portano fino al confine con Israele e là li smistano e fissano i prezzi di ogni uomo, diventato merce. Durante il percorso queste persone subiscono torture disumane: le donne vengono violentate, i ragazzi sodomizzati, i bambini torturati. “Usano tubi di plastica – denuncia Fessaha – li bruciano e li fanno colare sulla schiena e sulla testa. Li tengono per ore appesi al muro, con la testa in giù, fino a quando non svengono. Poi li fanno scendere e li picchiano. Ci sono anche traffici di organi”.

Oltre alle torture, i migranti europei devono fare i conti con l’indifferenza del mondo. “Anche se queste vittime hanno parlato – ricorda suor Azezet Kidane, missionaria comboniana di origine eritrea – hanno fatto filmati e documentari, il mondo non si interessa a loro. Sono poveri africani! Come al tempo della schiavitù!”

La guerra tra Eritrea ed Etiopia è durata 30 anni e in teoria è terminata, ma i confini tra i due Paesi non sono ancora delimitati. “Ma questo problema irrisolto del confine è diventato un alibi – denuncia don Mussie Zerai, presidente dell’agenzia Habeshia – anche per chi governa quel Paese, per non democratizzarlo, per non dare le libertà fondamentali al popolo, dicendo: Siamo ancora in guerra”. Per far fronte a questa emergenza, consiglia don Zerai, la comunità mondiale può impegnarsi con la cooperazione internazionale a rendere vivibile la situazione nei Paesi limitrofi con progetti di vita, lavoro e studio, in modo che i profughi eritrei non siano costretti a tentare il disperato viaggio per l’Europa.

Per arginare il fenomeno del traffico di esseri umani, per ora l’Organizzazione internazionale dei migranti ha proposto un dialogo tra tutti i Paesi e la creazione di centri di accoglienza nel lungo percorso di migrazione e in particolare nel Sinai, nel Sahel e nel Nord Africa.

 

Fonte: Radio Vaticana