Lucia e i suoi nove tentativi di fecondazione assistita “Ero accecata dal ‘desiderio della pancia’ fino a quando ho incontrato Morin: non sono una mamma di serie B”

donna ospedale-2Nove tentativi andati a vuoto. Nove incubi per il corpo e la mente. Nove come i mesi di una gravidanza (non a caso): ognuno di loro affrontati con l’accanimento di chi proprio quella gravidanza la desiderava oltre ogni logica. Fino a che è stato proprio il corpo a dire basta.

Quella che segue è la storia di Lucia (nome di fantasia ndr), mamma oggi adottiva di due splendidi bambini di 13 e 5 anni, ma “vittima” per anni del “desiderio della pancia” in nome del quale “non accettavo l’idea di non potere avere figli miei – racconta – e per questo mi sono sottoposta a lunghi ed estenuanti periodi di fecondazione assistita” .

Mio marito Marco non voleva – continua–: fin dall’inizio avrebbe voluto avvicinarsi all’adozione ma assecondava il mio ‘desiderio’ di maternità. Fino, però, all’ultimo e nono tentativo in cui mi ha detto ‘succeda quel che succeda, questa è l’ultima volta che ti accompagno”.

In realtà già prima di questo ultimo trattamento, Marco e Lucia avevamo iniziato il ‘percorso per l’idoneità’ per l’adozione…”era giunto il momento  – confida Lucia – e a farmelo capire è stata Morin, la figlia adottiva di un collega di lavoro di mio marito”.

Già! A “svelare” che tra una mamma adottiva e una mamma di pancia non ci sia alcuna differenza è stato uno scricciolo di pochi anni: “un giorno su richiesta di mio marito sono andata a trovarlo sul posto di lavoro– ricorda – Là c’era un suo amico con Morin che aveva adottato poco tempo prima: appena mi ha visto si è buttata tra le mie braccia senza mollarmi per lunghissimi minuti in un abbraccio che mi ha tolto il respiro”.

“Quello che ho provato in quel momento – confessa Lucia – non riesco ancora a spiegarlo: un ‘brivido nel cuore’ che mi ha svelato la verità. C’erano tanti bambini come lei nel mondo che non aspettavano altro che una mamma come me”.

E’ stato un percorso di maturazione e consapevolezza a cui Lucia doveva arrivare anche attraverso “la sofferenza di quei bombardamenti ormonali a cui mi sottoponevo periodicamente – racconta – Ad ogni trattamento seguiva un intervento ad anestesia totale, prelievo di ovociti, impianto del seme di mio marito e poi…ogni volta la delusione”.

La vita di Marco e Lucia era diventata un incubo, tutto aveva perso importanza e anche la coppia cominciava a risentirne. Era solo stress e angoscia. Nessuna felice attesa. Con anche pesanti ricadute sul piano economico.

All’ultimo trattamento, al momento del prelievo di ovociti, “ho avuto un problema cardiologico – racconta Lucia – Era il mio corpo che mi diceva basta…era la conferma di quanto già il mio cuore aveva deciso: era il momento di aprirsi ad un altro tipo di accoglienza. L’adozione”.

E così Marco e Lucia iniziano il loro primo iter adottivo che porta a casa Marcel (oggi 13 anni) e poi il secondo Julia (oggi 5 anni) (entrambi nomi di fantasia ndr).

E di sicuro l’attesa in entrambi i casi non è stata angosciante, deleteria e nociva come con la fecondazione: è stata un’attesa positiva, serena perché sapevano che prima o poi i nostri due bambini sarebbero arrivati. A differenza della fecondazione”.

E’ pur vero che oggi – conclude Lucia – più di allora le donne si avvicinano alla fecondazione perché confuse e scoraggiate da ciò che si sente delle adozioni internazionali. Ma a loro sento di dire: scegliete bene, adottate e abbiate fede. Non per questo sarete mamme di serie B” .