Adozioni internazionali. Maggia (TM di Genova): “Meno 50% di richieste in 2 anni: coppie poco preparate e poco disponibili”. Passare dalla selezione all’accompagnamento per ridare appeal all’accoglienza

maggia-genovaDimezzate in due anni. La crisi italiana delle adozioni internazionali trova una delle sue più drammatiche espressioni  in Liguria, dove il Tribunale per i Minorenni di Genova ha registrato un crollo del 50% di richieste in soli 24 mesi. Dalle 136 domande presentate nel 2014 si è scesi alle 88 del 2015 e alle 67 del 2016. Un’analisi di quanto sta accadendo è stata proposta da Cristina Maggia, capo della Procura minorile del capoluogo ligure. L’intervista rilasciata dal magistrato al quotidiano “Il Secolo XIX” ha destato scalpore sia per il dato fornito – che denota il crollo delle coppie di aspiranti genitori adottivi e che si aggiunge a quelli analoghi già registrati in altre città come Torino e Bologna -, sia per i fattori che Maggia individua come cause del fenomeno.

Secondo Maggia, alla base del calo di richieste per l’adozione internazionale, ci sarebbero sia motivi economici che ragioni legate alla preparazione e alla disponibilità delle coppie. Tra i primi rientrano l’incertezza e la mancanza del lavoro “per tanti giovani e meno giovani che fanno fatica a reperire le risorse per i costi dell’adozione” e “non sono sicuri di riuscire a mantenere la famiglia in prospettiva”. Ma non c’è solo questo.  “Per alcuni – spiega il magistrato – il cammino è troppo lungo e faticoso e abbandonano a metà percorso”. La stessa Maggia ammette che i giudici  sono “molto pignoli nella valutazione degli aspiranti genitori”, memori delle difficoltà affrontate da altre coppie in passato, e tendono a mettere “più paletti alle seconde adozioni”. Molto dipende anche dalla disponibilità degli aspiranti genitori che, secondo Maggia, sono poco aperti all’accoglienza di “bambini grandi, a volte ammalati, abusati, con inevitabili ritardi psicomotori”. Questi, “non hanno ‘appeal’ nemmeno per le adozioni internazionali”. Lo stesso dicasi per i gruppi di fratelli: “Nei Paesi sudamericani  – spiega ancora il magistrato – si tende a non dividere i fratelli che quindi vengono dati in adozione tutti insieme, un’eventualità che non tutti possono permettersi”.

Che cosa fare quindi per ridare slancio all’adozione internazionale? Occorre innanzitutto restituire alle famiglie speranza e fiducia in questa forma di accoglienza. Ma come? Il primo passo da compiere è cambiare atteggiamento culturale. Promuovere un’autentica cultura dell’accoglienza vuol dire fare in modo che le coppie si avvicinino a essa, si sentano attratti dalla possibilità di adottare un bambino e non debbano temere le tante difficoltà dell’iter. Questo cambiamento di atteggiamento presuppone quindi una fondamentale svolta: il passaggio da una cultura della selezione a una dell’accompagnamento. Chi, nel proprio cuore e nella propria famiglia, ha capito di voler essere padre o madre di un figlio non suo, chi si vede genitore di un bambino nato da altri, di per sé ha già la maturità necessaria per poter adottare. Può dirsi già idoneo. Ma da solo non è ancora in grado di diventare genitore dalla sera alla mattina. Ha bisogno di un’adeguata formazione che solo gli “addetti ai lavori” saprebbero fornirgli. Per riavvicinare le coppie all’adozione, quindi, è necessario evitare di sottoporle a una rigida selezione, spesso un vero processo, ma accompagnarle in un percorso di formazione alla genitorialità adottiva fino all’incontro con il proprio figlio. In modo da scoprire che anche l’adozione di un bambino con problemi sanitari o un po’ più grande o di un gruppo di fratelli non è un’impresa impossibile.