Messico: Jorge, 9 anni, tre volte adottato, due volte respinto

«Le cose stanno andando bene, i nostri figli hanno impattato in modo positivo con la loro nuova vita. Una volta arrivati a casa con loro ci siamo posti la domanda se mandarli in una scuola o presso una ludoteca. Abbiamo optato per un inserimento graduale in classe, poi a tempo pieno, per tutti e due». A parlare è Mauro, padre adottivo da poche settimane, tornato a fine dicembre insieme alla moglie Stefania con due figli accolti in adozione: Lucita di 8 anni e Jorge di 9.

I bambini come si trovano in classe, Mauro?
Lei è più spigliata del fratellino, motivo per cui ha ingranato bene con le lezioni e con la lingua. Sono stati inseriti un anno indietro rispetto alla classe che frequentavano in Messico, ma questo perché la didattica del Paese non è confrontabile con la nostra. Serve ancora creare le basi, per loro.

Molte coppie individuano la nascita della famiglia adottiva nell’istante in cui hanno preso in mano le prime foto dei figli. È stato così anche per voi?
Devo dire che è stato un momento emozionante, da brividi forti lungo la schiena. Le emozioni sono emozioni, anche per il padre più serio. Mia moglie scoppiò a piangere, io riuscii quasi a stento a trattenere le lacrime. Per noi accadde nel giugno dell’anno scorso. Ci siamo resi conto che l’embrione della famiglia era nato allora, era quel momento, e che si sarebbe andato a costituire con la presenza fisica di Jorge e Lucita.

Raccontateci del vostro incontro.
È avvenuto assieme a due responsabili dell’istituto dove vivevano i nostri figli. Eravamo in attesa, dentro una sorta di guardiola. Quando all’improvviso sono entrati questi due bambini, arrivando senza che ce ne accorgessimo. Lei si è appesa al collo della mamma, lui, al mio. Li abbiamo visti giusto per quei 5 minuti, durante i quali siamo rimasti abbracciati e abbiamo consegnato i regali che avevamo preso per loro due. Una cosa fulminea, quindi. Di seguito, lo psicologo ci ha chiamati. Ci voleva parlare delle tematiche che li riguardavano e aveva intenzione di fornirci un quadro d’insieme.
Durante i successivi incontri ci hanno permesso di vederli all’ora di pranzo, presso una saletta separata dal refettorio, per poi riaccompagnarli a scuola. Tanto sono andati bene quegli incontri che, dopo soltanto una settimana – e non dopo i 15 giorni di prassi – ci hanno consentito di riaccompagnarli da scuola dopo le 18, purché tornassero ogni venerdì per seguire alcune sessioni di psicoterapia.

Come mai?
Hanno dovuto subire, oltre allo strappo dell’abbandono da parte dei genitori biologici, anche uno strappo da due genitori venuti ad accoglierli in Messico con un’adozione internazionale, che non andò a buon termine. Riportarono i bambini in istituto dopo 3 giorni. E prima ancora di questo episodio erano già stati mandati a casa di una coppia con un’adozione nazionale, una procedura sulla quale non era stato emesso il consenso delle autorità. In entrambi i casi i bambini sono stati fatti rientrare in istituto perché quelle coppie avevano rifiutato Jorge e preteso di tenere soltanto Lucita. Jorge, già dopo il primo rifiuto, presentava forti segni di aggressività.

Ora come sta?
Sta reagendo bene. Nel tempo siamo riusciti a cambiarlo. Questo non esclude che in futuro si faccia domande sui suoi trascorsi, ma vedo che oggi i suoi litigi con la sorella sono normali discussioni tra fratelli. Lo vedo contento. Non è molto propenso a fare i compiti, ma è molto dinamico nella manualità e interagisce parecchio nel gioco: questo mi fa pensare che stia bene.

Parlateci della bellezza dell’adozione.
La vivo come un profondo atto d’amore nel dare me stesso in tutto e per tutto ai miei figli. Non li ho mai considerati, e così anche mia moglie, come figli semplicemente “adottivi”: ma come figli nostri. L’adozione è un parto, a tutti gli effetti. Un parto che nasce dall’amore della coppia. Vivi questo passaggio da quando li vedi solo sulla carta delle fotografie a quando metti loro una mano sulla spalla… questa è la mia gioia di vivere.