Milano. Trofeo Aldini, ultimo atto: “Può il gioco del pallone salvare la vita a dei bambini abbandonati?”

logo aldini 2Il linguaggio del pallone è uguale in tutto il mondo. E fa del calcio una realtà i cui i bambini di qualsiasi provenienza hanno la possibilità di comprendersi subito, di diventare amici, di aiutarsi a vicenda. Il calcio quindi è uno strumento fondamentale nell’inserimento dei bambini adottati nella società che li accoglie. Sono tutti concordi nell’affermarlo i dirigenti, i preparatori e gli allenatori protagonisti, insieme ai loro ragazzi, della giornata finale dell’XI Torneo “Amici dei Bambini” che si è concluso domenica 7 giugno sul campo dell’Unione Sportiva Aldini, nel quartiere milanese di Quarto Oggiaro. Un torneo che da aprile a giugno 2015 ha visto impegnate 28 formazioni della categoria Esordienti 2002 di altrettante società, sia dilettantistiche che professionistiche. La vittoria finale, sul campo, è andata ai ragazzi dell’Inter che hanno preceduto, nell’ordine, Varese, Milan e Juventus. Ma a vincere davvero sono stati i bambini della Repubblica Democratica del Congo. Come da tradizione, infatti, il torneo, organizzato in collaborazione tra Us Aldini e Ai.Bi., è finalizzato a sostenere uno dei tanti progetti di Amici dei Bambini a difesa dell’infanzia più fragile. E per questa edizione si è scelto di devolvere tutto l’incasso della manifestazione proprio al “Progetto Congo”, un intervento volto a contrastare l’abbandono, la povertà e la precarietà della vita di tanti bambini congolesi. “Il nostro obiettivo – spiega Massimiliano Borsani, presidente di Aldini e proveniente da una famiglia in cui l’adozione è sempre stata di “casa” – è quello di promuovere il nome di Ai.Bi. e i suoi progetti che mirano a creare condizioni di vivibilità per i bambini dei Paesi più poveri. L’esperimento funziona sempre, le famiglie si informano sulle attività di Ai.Bi. e per l’anno prossimo vorremmo allargare il torneo ad ancora più squadre partecipanti”.

Il calcio, del resto, è una delle realtà di “prima accoglienza” per tanti bambini adottati, oltre che per i piccoli figli degli immigrati. Lo affermano quasi all’unisono due addetti ai lavori di grande esperienza: Fulvio Gatti, coordinatore dell’attività di base dell’Inter, e Roberto Bertuzzo, allenatore degli Esordienti 2002 del Milan. “I bambini adottati in genere arrivano da realtà difficili – spiegano –: nelle società sportive trovano una vera famiglia, che si va ad affiancare a quella che li ha adottati e al lavoro di inserimento nella nostra società svolto dai genitori e dalla scuola”. Il consiglio, quindi, è quello di avviare da subito, se possibile, i piccoli adottati all’attività sportiva, meglio se di squadra: “Giocando con i compagni, infatti, anche coloro che non hanno avuto, fino a quel momento, la possibilità di avere una famiglia imparano ad aiutarsi a vicenda, un valore fondamentale anche per la loro vita in famiglia”.

Una voce speciale, a questo proposito, è quella di Michele Invernizzi. Figlio di Giovanni, allenatore che condusse l’Inter alla vittoria dello scudetto 1970-71, Michele oggi è responsabile dell’attività di base dell’Aldini, ma anche padre adottivo di due bambini. Il maschietto, di origine eritrea, sta già tirando i suoi primi calci. E in arrivo c’è un terzo fratellino. Un’adozione non semplice, però, come racconta Michele, testimone anche lui, come molte famiglie, delle mille difficoltà che una coppia deve affrontare per poter accogliere un bambino abbandonato. “Stiamo incontrando molti problemi burocratici – evidenzia – e abbiamo dovuto ripetere tutta la trafila dall’inizio, come se non avessimo mai adottato in precedenza”.