Nepal. “Errore umano, non è figlia di nessuno dei 2”. E la coppia gay restituisce la bambina nata da utero in affitto

utero in affittoErrore umano. E così una neonata diventa praticamente un pacco postale finito all’indirizzo sbagliato. Consegnata e restituita da chi l’aveva ordinata, dopo essere uscita dalla catena di produzione biologica. Questa, in sintesi, la drammatica disavventura di una bambina messa al mondo da una madre surrogata in Nepal, su commissione di una coppia omosessuale israeliana.

A inizio gennaio, i due uomini hanno infatti scoperto che la “loro” figlia, ottenuta grazie alla maternità surrogata, non era biologicamente figlia di nessuno dei due. Quindi non poteva essere registrata all’anagrafe. A rivelare l’errore sono stati i test genetici che la legge israeliana impone a chi ricorre alla procreazione tramite utero in affitto per dimostrare il legame genetico con il bambino. Alla fine, la bambina è stata letteralmente riconsegnata, proprio come un prodotto difettoso.

Immediate le scuse e le giustificazioni dell’agenzia a cui la coppia gay si era rivolta. “L’inchiesta che abbiamo condotto – ha scritto la Tammuz International Surrogacyha rivelato un raro errore umano in un laboratorio del Nepal, ma vogliamo assicurare che Tammuz lavora con personale specializzato nel campo della surrogacy e che ha aiutato centinaia di famiglie a coronare il sogno della genitorialità. “Ritenta, sarai più fortunato”, sembra essere il senso del messaggio, rivolto alla coppia che quel sogno, o meglio quella pretesa di avere un figlio, proprio non sono riusciti ancora a realizzarla.

Sono questi, dunque, i rischi della maternità surrogata. Soprattutto in quei Paesi low-cost, dove le donne, pur di guadagnare poche migliaia di euro che permettono loro la sussistenza, sono disposte ad affittare il proprio corpo e partorire figli per conto terzi. In Nepal puoi portarti a casa un bambino così.

Il business è venuto alla luce in modo particolare all’indomani del terremoto che ha sconvolto il Paese, tra aprile e maggio 2015. I bambini nati da maternità surrogata erano così tanto che proprio Israele dovette organizzare addirittura un ponte aereo per evacuarli tutti e portarli tra le braccia delle coppie gay che li avevano commissionati.

Ad agosto la Corte Suprema di Kathmandu era corsa ai ripari, decretando il blocco dei “servizi di procreazione” a favore di coppie straniere, impedendo così il trasferimento dei bebè già nati. Era la risposta a una petizione che denunciava lo sfruttamento delle donne povere.

Dal 2013 il Nepal è la meta preferita di coloro che vogliono avere un figlio prendendo in affitto un utero. Tra gli israeliani che ricorrono a questa pratica, sono prevalenti le coppie omosessuali perché Tel Aviv prevede che la gestazione per conto terzi sia permessa solo agli eterosessuali infertili. Nel 2014 il governo Nepalese ha stabilito di vietare alle donne nepalesi di prestarsi a tali pratiche, ma il mercato dei bambini su commissione è proseguito con le donne indiane o thailandesi che si recano in Nepal solo per fare un figlio.

 

Fonte: Avvenire