Nigeria. Il dramma del piccolo Hope: salvato dalla strada, ma non dall’ abbandono. Ha 35 fratelli ma è senza una mamma e un papà !

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Quante cose possono cambiare in un anno? A volte poco e niente, a volte 365 giorni possono rivoluzionarti la vita. Così è stato per Hope, il piccolo nigeriano abbandonato dalla famiglia perché considerato uno stregone: un’assurda realtà che condanna all’abbandono migliaia di bambini africani.

Hope è stato salvato da Anja, volontaria danese e la sua storia ha commosso il web: il piccolo aveva vagato per otto mesi fino a che non era stato trovato da Anja e dai suoi collaboratori. Oggi Hope – ‘Speranza’ in inglese – sta molto meglio, vive presso la “African Children’s Aid Education and Development Foundation”, un orfanotrofio nel sud est della Nigeria. Per festeggiare la prima settimana di scuola di Hope, Anja ha deciso di ricreare lo scatto attraverso il quale il web aveva conosciuto la storia del bambino e che la ritraeva mentre cercava di convincerlo a bere dell’acqua da una bottiglietta.

Quella di Hope è una storia a lieto fine, è sorridente e ha 35 nuovi “fratelli e sorelle”: ma è solo una goccia nel mare in tante storie drammatiche. E non solo: quale sarà il futuro di Hope quando a 18 anni lascerà l’istituto? Sarà solo. Senza una famiglia, una mamma e un papà, senza fratelli ne’ punti di riferimento. Questo perché nessuno si è posto il problema del suo diritto ad essere figlio. E per lui sarà come risprofondare nell’abbandono.

Hope è la prova di quanto sia ancora forte e radicato il mito dell’assistenza nell’erronea convinzione che questa basti per sconfiggere l’abbandono. Ma non è così.

Quello che infatti continua a non essere considerato è il fattore famiglia:  i principali attori governativi (UNICEF, UNDP, MAECI), che si occupano di infanzia in Africa, e non, non considerano lo stato familiare di un minore una variabile rilevante nel valutare il suo benessere.

Vengono indagati, misurati e discussi la salute, la nutrizione, l’educazione,  l’aspettativa di vita, ma non se il minore vive in una famiglia, in un istituto o è in stato di abbandono.

Trascurando la valutazione dell’impatto della mancanza di una famiglia sullo sviluppo psicologico e sociale del minore, si trascura quanto questa mancanza ricada non solo sul minore ma su tutta la società in cui il minore cresce. Vengono così analizzati aspetti della vita di un bambino in maniera disaggregata, senza tener conto del suo “Essere Persona”, portatore di diritti, di relazioni, dotato di possibilità e capacità, portatore di benessere.

Se non si portano avanti, infatti, interventi mirati proprio agli “ultimi”, quale sarà il destino di Hope e delle migliaia di bambini abbandonati come lui? A 18 anni sarà uno dei tanti care leavers la cui percentuale di sopravvivenza non è per nulla incoraggiante.

Ad esempio in Marocco, secondo l’INSAF (institut national de solidarité avec les femmes en détresse), il l’90% dei bambini che crescono in istituto e ne escono a 18 anni non ce la fa e va incontro a un destino purtroppo segnato: suicidi, prostituzione e delinquenza solo il restante 10% si realizza nella vita.

E se sfugge a tutto ciò, alla ricerca di un futuro migliore, affiderà la sua vita ad uno spregiudicato scafista per trovarsi stipato su un barcone in mezzo a centinaia di altri ragazzi, donne e bambini diretti verso le coste siciliane.

Eppure la soluzione ci sarebbe: più semplice che mai, l’adozione nazionale e laddove non sufficiente, quella internazionale.

Vogliamo veramente aiutare i bambini abbandonati dell’Africa? – dice Marco Griffini, presidente di Ai.Bi. Amici dei Bambini – Promuoviamo diffondiamo e sosteniamo l’adozione. Laddove non è possibile l’accoglienza nazionale ben venga l’adozione internazionale”.

Come in Kenya dove in tempi in cui l’adozione internazionale è bloccata (a seguito della moratoria emanata dal Governo del Paese), Ai.Bi si fa paladina dell’adozione nazionale affinché i bambini, che vivono negli istituti africani abbandonati e privi di patria potestà, vadano in adozione. Grazie al progetto “Trasformando la vita dei bambini istituzionalizzati e dei care leavers nelle contee di Nairobi e Kajiadofinanziato dal Ministero degli Affari Esteri per la prima volta in Kenya, è stata avviata una campagna di comunicazione e sensibilizzazione con la messa in onda sulla prima radio nazionale, Radio Maisha, e il secondo canale televisivo più visto, KTN HOME, uno spot sul significato e l’importanza dell’adozione nazionale per i bambini abbandonati. La diffusione degli spot è stata interamente finanziata dal Ministero degli Affari Esteri.

Quando adottiamo questi bambini – conclude Griffini li salviamo. La famiglia è una grande risorsa perché, adottando un bambino abbandonato, fa il più grande atto di giustizia che una persona possa mai compiere nella sua vita. Con un semplice gesto noi ridiamo dignità di figlio a un bambino che una società ha condannato all’abbandono”.