Palermo. Abbandona il figlio in un cassonetto: ora è in carcere da un anno. Urge una legge sulle “culle per la vita”

adv stampaEra depressa da mesi, taciturna, triste: così viene descritta Barbara (nome di fantasia) la giovane donna accusata di avere gettato nel cassonetto e ucciso, a novembre del 2014, la figlia appena partorita. La ragazza, accusata di omicidio aggravato, è detenuta da quasi un anno e ha ascoltato la deposizione del padre, salito sul banco dei testi davanti alla corte d’assise di Palermo che celebra il processo. Un triste fatto di cronaca che fa riflettere sull’urgenza di fare qualcosa per prevenire altre tragedie simili: aiutare le mamme in difficoltà e soprattutto salvare piccole vite indifese. La soluzione non è così fantascientifica: basterebbe garantire una distribuzione capillare delle culle per la vita, le “vecchie” ruote degli esposti dove una mamma può lasciare in totale anonimato e privacy il neonato e allontanarsi senza essere perseguita penalmente. Praticamente usufruendo delle stesse garanzie e diritti del parto in anonimato in ospedale.

Del resto il 22 maggio scorso ha compiuto 37 anni la legge 194/1978 per la tutela della gravidanza e l’interruzione volontaria, a seguito della quale circa 5 milioni e otto centomila bambini non sono mai nati.
Ma non è mai stato dato corso alle finalità preventive della stessa legge, evitando di attivare i sostegni previsti per le gestanti in difficoltà e rinunciando a proporre qualunque alternativa a chi chiedeva di interrompere la gravidanza, fino a trasformare di fatto l’aborto in un diritto individuale.

Sono pochi, infatti, gli strumenti messi a disposizione delle donne che non vogliono interrompere la propria gravidanza, e quelli esistenti sono poco conosciuti.

Come le culle per la vita. Ma cosa sono le culle per la vita? E quante sono? In Italia manca ad oggi, un elenco ufficiale, una mappatura di facile consultazione e accessibilità. Se ne contano circa 50 distribuite sul territorio nazionale a cui si aggiungerà quella che verrà inaugurata a giorni alla Family House (la clinica per la cura dell’abbandono) di Ai.Bi. nell’hinterland milanese.

Cinquanta culle che però sono poco conosciute: e questo di certo non agevola la donna che,  nel momento di mettere in atto la sua scelta, non può agevolmente consultare l’elenco e scegliere quella più vicina.

Ma il gap non è solo questo: oltre a mancare un registro nazionale, infatti, manca una normativa ad hoc che metta nero su biancoche lasciare il bambino nella culla non costituisce un reato poiché si applica la stessa normativa dell’abbandono in ospedale: ovvero la culla è costruita per salvare una vita umana.

C’è chi afferma che la “Culla per la Vita” faciliti l’abbandono/reato e, dunque, costituisce una sorta di istigazione a delinquere. Ma, rileggendo l’art. 591 del Codice penale, dove per abbandono s’intende il fatto di lasciare un minore “in balia di se stesso”, non risulta tale la deposizione di un neonato nella culla perché essa è costruita al fine di accoglierlo e salvarlo da morte certa in altro luogo. Inoltre con la culla, non avviene né l’occultamento del neonato, né l’alterazione dello stato civile: il neonato non viene prelevato da nessun privato ma consegnato immediatamente al Tribunale per i minorenni. Infine, secondo l’art. 568 del codice penale, non essendo denunciata la nascita da chi lo abbandona, non può trovarsi ad essere punito colui che, in assoluto anonimato, lo deposita nella Culla quale ultimo atto di umana pietà, per salvarlo.

Pensiamo infatti che cosa accadrebbe nel caso in cui l’anonimato non sia garantito. Andare a cercare la madre del neonato, ovvero colei che ha scelto di abbandonare il proprio figlio, potrebbe provocare sia in lei che, in futuro, in suo figlio un trauma non indifferente. Per una madre che non può o non vuole tenere con sé il proprio figlio, sapere di poter essere rintracciata costituirebbe un forte incentivo a soluzioni ancora più drammatiche, come l’aborto o l’infanticidio. Soluzioni che toglierebbero la vita al bambino, anziché aprirgli la possibilità di rinascere, come figlio adottivo.

Anche per questo è necessario incrementare la presenza di culle termiche e incentivare la cultura del loro utilizzo. Lasciare un neonato in una culla per la vita, infatti, non costituisce reato e garantisce al piccolo un futuro.

Da questi presupposti nasce la campagna “Fame di Mamma” di Ai.Bi. per dire basta all’abbandono in Italia. L’obiettivo è contribuire al consolidamento e allo sviluppo dei servizi a favore dell’infanzia abbandonata e delle mamme con figli che vivono in situazione di disagio. Dal 6 al 21 dicembre sarà possibile sostenere l’iniziativa, donando 2 euro attraverso il numero 45 505 e 2 o 5 euro allo stesso numero da rete fissa.

Ogni anno circa 3mila neonati vengono rifiutati al momento della nascita e di questi solo 400 vengono salvati perché abbandonati al riparo nelle culle per la vita o all’interno degli ospedali, degli altri si perde traccia o si ritrovano troppo tardi. Per questo Amici dei Bambini ha deciso di lanciare la campagna Fame di Mamma. La campagna culminerà proprio in occasione di  questo Natale con l’inaugurazione della 51/ma culla per la vita in provincia di Milano, in una zona  periferica, facilmente raggiungibile dalla rete di autostrade lombarde e all’interno di una struttura protetta dove saranno presenti costantemente operatori specializzati nella presa in carico del neonato, nel rispetto dell’anonimato della mamma o di chi lascerà il bambino nella culletta.