Perché è così difficile commuoversi davanti alla sofferenza dei bambini siriani

Bambino Siria guerraC’è poco da fare, la Siria non attrae l’interesse dell’opinione pubblica. Bisognerà farsene una ragione: nei confronti dei bambini siriani, la solidarietà è davvero poca. È un problema, peraltro, che non riguarda soltanto l’Italia, ma anche gli altri paesi europei e occidentali.

António Guterres, Alto Commissario per i Rifugiati delle Nazioni Unite, di recente ha dichiarato: «Questa è la peggiore crisi umanitaria della nostra era e dovrebbe suscitare una un moto di solidarietà globale, invece gli aiuti continuano a diminuire.» Al netto delle considerazioni di politica internazionale, sono i miei stessi amici e colleghi siriani che, con amarezza e rassegnazione, mi ripetono di continuo che «della Siria, tanto, non importa nulla a nessuno

E allora è inutile citare, ancora una volta, quelle che sono le statistiche di un dramma senza precedenti. Sarebbe superfluo trasformare tutto in numeri e cifre, quando sappiamo che, in realtà, si parla di vite umane. Non decine, non centinaia, ma milioni. E ogni vita umana – ci hanno sempre insegnato – è sacra.

Ma perché succede tutto questo? Perché ci riesce così difficile commuoverci di fronte alla sofferenza dei bambini siriani e delle loro famiglie?

Io una risposta l’avrei, ma non è molto edificante: la scarsa attenzione dei media su quelli che sono i veri, reali bisogni della popolazione in Siria, infatti, c’entra fino a un certo punto. C’entrano soprattutto – a mio modesto parere – il pregiudizio, l’approssimazione ideologica, la paura del diverso, in parte alimentata dalla minaccia del terrorismo. Forse anche una punta di razzismo, consapevole o meno.

Probabilmente – e sarebbe la cosa più grave – è venuta meno anche quella compassione (dal latino: “soffrire con”), che come popolo ci ha sempre contraddistinto; quella capacità di far nostro il dolore altrui e di condividerlo, in qualsivoglia maniera. Quello “spirito di accoglienza” che va ben oltre la questione dei migranti, perché sconfina in una visione del mondo e dell’altro. Ecco perché ci ritroviamo così distanti (con gli occhi e soprattutto con il cuore) da quello che accade in Medio Oriente, neanche troppo lontano da casa nostra.

Voglio dunque cogliere l’occasione per ringraziare quanti, anche attraverso questo blog, ci danno l’opportunità – nonostante tutto – di andare avanti e continuare a fare quello che facciamo, pur tra mille difficoltà. Sostenitori generosi che, con il loro contributo, ci permettono di restare “sul campo”, per aiutare i bambini siriani e le loro famiglie a rimanere nel proprio paese. Un grazie sincero anche a quanti contribuiscono semplicemente leggendo, informandosi, condividendo, facendo il passaparola. A coloro che si lasciano toccare e “provocare” da quanto accade in Siria, perché hanno compreso che – in fondo – è come se accadesse a noi, ai nostri figli, ai nostri fratelli, ai nostri amici.

 

Luigi Mariani
Country coordinator di Ai.Bi. in Siria

 

Ai.Bi. ha lanciato la prima campagna di Sostegno a Distanza per aiutare le famiglie siriane a restare nel proprio paese e continuare a crescere i propri figli in condizioni dignitose, nonostante la grave crisi. Cibo, salute, scuola, casa, gioco: queste le cinque aree d’intervento. Per avere maggiori informazioni sull’iniziativa e per dare il tuo contributo, visita il sito dedicato.