Quando un figlio, arriva dal proprio Paese d’origine

Victor, adottato in Italia da genitori albanesi come lui, che vivono e lavorano da tempo in Piemonte, tiene al Milan. Elena, accolta dalla zia, è russa e vuole fare la stilista. Per entrambi ha vinto la tenacia dei genitori.

Quelle pecore al pascolo, quei campi brulli e le colline che circondano Sant’Albano Stura, piccola comunità agricola di 1.200 anime, nel cuore del Cuneese, sembrano proprio il ritaglio d’un paesaggio albanese. La vista che si gode dalla finestra potrebbe passare per una cartolina della loro amata Albania.

Qui, all’interno di un appartamento del Palazzo vecchio di Sant’Albano,un castelletto che domina la vallata dello Stura, abita la famiglia Doci, ospite del proprietario del maniero. Victor, 49anni, quarto di 13 fratelli, è arrivato nel 1994 dall’Albania; ha fatto di tutto, dal guardiano delle mucche, al meccanico di trattori. Ora è dipendente comunale. La moglie Margarita, 46anni, è giunta in Italia nel 1995; ha iniziato a lavorare come badante e ora è assunta in un’azienda agroalimentare del posto. Con Taro vive il figlio adottivo Kristian, di 9 anni, da soli due mesi in Italia.

«Una vicenda lunghissima, iniziata nel 2005, quando abbiamo deciso di adottare un bambino del nostro Paese. Una storia fatta di attese infinite, da dire: basta, ci rinuncio», rivela Margerite, che di questa cronistoria non ha dimenticato una sola data, un dettaglio.

Erano partiti col piede sbagliato i Doci, cercando in Albania un’adozione nazionale.

Una volta compreso che avrebbero dovuto seguire la procedura richiesta in Italia per l’adozione internazionale come residenti nel nostro Paese, danno l’incarico ad Ai.Bi.

«Nel frattempo, però, ci informano che il primo ministro albanese Sali Berisha decide la chiusura delle adozioni internazionali. Un dramma per noi. A fine novembre del 2010, però, arriva dall’ente la telefonata tanta attesa: “Venite subito a Torino, c’è qualcosa per voi dall’Albania”.

È la foto di Kristian, uno scugnizzo bruno, che dei suoi otto anni ne ha trascorsi la metà in due diversi orfanotrofi nel Sud del Paese. Li aspettai suoi futuri genitori.

Ci sono voluti sei viaggi per portarlo in Italia e 30 mila euro faticosamente messi da parte.

E ancora un anno e passa d’attesa. Il 15 gennaio Kristian ha varcato i confini italiani con mamma e papà. Ora frequenta la seconda elementare. Se la cava in matematica, è tifoso del Milan e si sta preparando in parrocchia per la Prima Comunione. Viktore e Margerite lo guardano correre dietro alle pecore e alzano gli occhi al cielo: «Grazie Signore, per avercelo donato».

Ma c’è chi è venuto da più lontano ancora ad adottare in Italia. Ci spostiamo di 300 chilometri a ovest, destinazione Montecavolo, frazione collinare di Quattro Castella, nel Reggiano.

Il paesaggio non cambia poi di molto; la storia, quella si . « Elena, che vive con me da tre anni e che è diventata maggiorenne in questi giorni, è una ragazza russa abbandonata dalla nascita .

In seguito fu adottata da mio fratello. Ma la situazione di lì a poco sarebbe precipitata con lo sfaldamento della sua famiglia. Da qui la nuova istituzionalizzazione in un collegio ».

Cosi racconta Olga Avdanina, geometra, 48anni, di Ryazan, città russa non troppo distante da Mosca, ma con cittadinanza italiana, che vive nel nostro Paese dal 1999, impiegata come assistente in sala parto di un’ allevamento di scrofe della zona.

« Il suo destino sarebbe stato l’orfanotrofio, se non l’avessi adottata », continua la zia, ora mamma adottiva, oltre che madre di Sergej, 28anni. Ma il percorso non è stato né facile, né breve. Per adottare Elena ha dovuto ottenere il nullaosta da parte della CAI, che ha riconosciuto trattarsi di un”ricongiungimento familiare” e l’idoneità del Tribunale dei minori di Bologna .

«Ho dovuto rifare gli stessi documenti tre, quattro volte, e una decina sono stati i viaggi a Mosca. Quante volte ho pianto, pensando di non farcela.

Ricordo come un incubo i colloqui con le assistenti sociali e gli “interrogatori ” della psicologa.

E pensare che in Russia un’adozione nazionale si conclude in tre mesi», si sfoga la madre.

Ma Elena, intanto, è rifiorita. Ora è iscritta alla prima superiore. Rinforza il suo italiano nei corsi organizzati dalla parrocchia e fa progetti per il futuro.

Vorrebbe fare la stilista. In Italia, in Italia ovviamente.

( Da Famiglia Cristiana, Alberto Laggia, 29/03/2012)