Quante volte abbiamo pensato che la Salvezza cristiana fosse “una porta stretta” piena di sacrifici?

la_porta_strettaPer questa XXI Domenica del Tempo Ordinario, la riflessione del teologo don Maurizio Chiodi prende spunto dai brani del Libro del profeta Isaia (Is 66,18b-21), della Lettera agli Ebrei (Eb 12,5-7.11-13) e del Vangelo secondo Luca (Lc 13,22-30).

 

Il Vangelo di oggi si apre con una domanda curiosa: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».

Non sappiamo nulla dell’uomo, «un tale», che pone questa domanda a Gesù. Ma, chissà, forse anche noi ci siamo posti questa domanda. Specialmente oggi l’interrogativo pare molto attuale. In questo nostro mondo soffocato dal male, da tanta violenza e ingiustizia, in questa nostra società dove tanti sembrano preoccuparsi di tutto, meno che della loro ‘salvezza’, questa domanda ci viene proprio spontanea.

Certo, all’origine di questo interrogativo ci può essere una legittima preoccupazione e perfino un ‘santo zelo’.

Ma c’è anche il grave rischio che la domanda nasconda una certa arroganza, una pretesa orgogliosa: quella di considerarsi tra quelli che sicuramente si salvano. E allora ci mettiamo a giudicare, a condannare tutti quelli che ci stanno attorno. Così diventiamo giudici instancabili e spietati. Rischiamo così di diventare degli ipocriti, convinti di poterci ‘mettere in salvo’ con le nostre forze, con la nostra ‘giustizia’, come se anche noi non fossimo salvati e perdonati dal Signore, per grazia!

E infatti molto più della domanda, in questo Vangelo, è importante la risposta di Gesù: è un piccolo ‘trattatello’ di teologia, rivolto al suo interlocutore ebreo, proprio mentre lui è «in cammino verso Gerusalemme».

La risposta di Gesù comincia con una metafora, un’immagine, che però ci potrebbe trarre in inganno: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta … molti … cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno».

Il rischio di questa parola è di pensare che la salvezza sia «una porta stretta» – come se Dio volesse rendere complicato l’accesso – nella quale passano solo quelli che si sforzano. Così penseremmo alla ‘salvezza’ come uno sforzo, una fatica, frutto unicamente del nostro impegno, delle nostre forze. La ‘salvezza’ come una conquista, una vittoria!

Molti cristiani pensano così della vita cristiana: come una vita dura, di sacrifici e di rinunce … mentre gli altri se la spassano e godono di questa vita. Così molti (di noi) si rovinano da soli la vita. Siamo insoddisfatti, come schiacciati dal peso delle rinunce e dei sacrifici che ci imponiamo per essere degni della salvezza.

Sotto sotto, però, coviamo perfino rancore verso Dio. Non riusciamo a capire il perché dei sacrifici, delle rinunce, delle leggi da osservare. Ci pare che i furbi, i disonesti, gli imbroglioni, quelli che se la spassano, questi sì, si godono la vita.

Molti cristiani interpretano male anche le parole della lettera agli Ebrei, nella seconda lettura: «è per la vostra correzione che voi soffrite!».  Come se Dio si ‘divertisse’ a correggerci, mandandoci le sofferenze per tagliarci le ali, per impedirci di vivere in modo pieno … Come se Dio fosse uno geloso della nostra felicità e ci ammettesse a goderne solo a patto di attraversare dure prove!

La ‘salvezza’ diventerebbe così il frutto di un prezzo ‘salato’, una vita carica di rinunce, schiacciata dal dolore.

Quante volte noi cristiani diamo questa impressione agli altri! Quante volte noi stessi pensiamo così! E viviamo male. Viviamo male la vita. Viviamo male la fede, perché la viviamo come una costrizione, quasi un dazio da pagare, in vista di qualcosa d’altro, la salvezza.

Se ascoltiamo bene la parola di Gesù ci accorgiamo che, in realtà, le cose andrebbero semplicemente rovesciate.

«Voi, – dice Gesù rivolgendosi a quell’uomo ebreo, ma questa sua parola si rivolge anche a noi, cristiani, oggi – rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta…». Comincerete a dire, così continua ancora Gesù: «Signore, aprici!». C’è in questa parola una pretesa, un’arroganza, una presunzione. È la pretesa di chi crede di avere diritto alla salvezza: «Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze».

Vedete, queste parole nascondono il contrario della fede. Sono parole piene di ipocrisia e di orgoglio, anche se velato: “Noi siamo stati con te, perché adesso ci escludi?”.

La salvezza non è un diritto, è un dono. Non è una conquista, è una grazia! Tutti quelli che la pretendono, ne rimangono esclusi!

Quelli che pretendono la salvezza sono tutti coloro che, pensano di salvare la vita con le proprie forze e allora diventano prepotenti, egoisti, gente che pensa solo a sé per accumulare, per avere sempre di più.

Questi ‘operatori di ingiustizia’, in fondo, non apprezzano affatto quello che hanno. Vogliono sempre di più. Sono infelici, anche se possiedono moltissimo. Non si accorgono che tutto ciò che hanno è già un dono di Dio, è una grazia. Non ne sanno godere. All’apparenza, hanno tutto, ma nascondono, anche a se stessi, la loro profonda infelicità, continuando ad accumulare, a volere di più.

Questa Parola di Gesù non ci deve scoraggiare. Deve piuttosto, aprirci gli occhi, alla gratuità di un dono, che è per tutti.

Sì, perché questa è la nota finale di questo Vangelo, come anche della prima lettura, dal profeta Isaia: «Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio».

Gesù qui dà un’immagine bellissima della salvezza descrivendola e paragonandola a un ‘sedersi a mensa’ nel Regno di Dio.

La salvezza sarà la sazietà di ogni umano desiderio. Questa salvezza è una grazia e, perché è una grazia, è per tutti. Non è un privilegio per qualcuno. È una sovrabbondanza di amore e di perdono, per tutti.

Così dice Isaia: «Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue». È dal dono che nasce la risposta della nostra libertà. La libertà non è lo sforzo di salvarsi da soli, ma è la risposta ad una grazia.

Per questo molti che si crederanno primi si troveranno ultimi, esclusi.

Chi invece umilmente invocherà il perdono e si impegnerà a vivere con questa gratitudine, per grazia, si ritroverà ‘primo’ nel Regno di Dio, accolto alla mensa – di cui è figura l’Eucarestia! – in cui la sua felicità sarà saziata per sempre!