Quanto è importante dire grazie per i doni che riceviamo?

il-lebbroso-438x293Per la XXVIII Domenica del Tempo Ordinario, la riflessione del teologo don Maurizio Chiodi prende spunto dai brani del secondo Libro dei Re (2Re 5,14-17), della seconda Lettera di san Paolo apostolo a Timotèo (2Tm 2,8-13) e del Vangelo secondo Luca (Lc 17,11-19).

 

Oggi la Parola di Dio è un invito potente a riscoprire, sempre daccapo, un aspetto fondamentale della vita di fede e della stessa vita umana: la gratitudine, la capacità di dire grazie. Dietro e dentro questa piccola parola si nasconde qualcosa di molto grande.

Prima di meditare la Parola, forse, è opportuno che ciascuno di noi si domandi quante volte in un giorno dice grazie, a chi gli capita di dirlo più frequentemente e a chi, invece, non lo dice mai e perché … Perché a qualcuno diciamo grazie con maggior facilità e perché con qualcun altro ci accade l’opposto?

Spesso succede che, quanto più viviamo vicini e quotidianamente con una persona, tanto meno siamo portati a dirle grazie. Al contrario, spesso, tanto più una persona ci è estranea, quanto più è facile ringraziarla.

È un paradosso! Non dovrebbe essere il contrario?

Senza tralasciare di dire grazie a chi conosciamo poco, perché ci ha dato o fatto qualcosa, quanto sarebbe prezioso che imparassimo a ringraziare quotidianamente, e ogni volta che sarebbe bene farlo, le persone che ci stanno più vicine!

Tutto questo per una semplice ragione: perché non è scontato che l’altro ci faccia del bene. Così, ci è più facile e più comodo pensare che quello che fa, deve farlo più semplicemente per dovere e, così, perdiamo il gusto di riceverlo per grazia.

Non solo: non avendo più occhi, per riconoscere i doni ricevuti, per i quali essere grati, finiamo per vivere una vita piatta, anzi siamo sempre più tentati di lamentarci, di mormorare, di vedere solo quello che non va. Così diventiamo sempre più persone scontente e quindi, pretenziose, arroganti.

Il Vangelo di oggi, come anche la prima lettura, che racconta quello che accade tra Naaman ed Eliseo, è una bellissima istruzione sulla gratitudine.

Naaman era un uomo potente, forte e ricco, comandante dell’esercito del re di Siria. Ammalatosi di lebbra, quest’uomo avrebbe perduto tutto, senza perdere la vita: la sua vita si sarebbe trasformata radicalmente, perdendo onori, ricchezza, gloria, fama, poteri, relazioni.

Un lebbroso diventava come un morto che camminava.

Allora, per caso, aveva saputo che, vicino, in Israele, c’era un uomo di Dio che avrebbe potuto guarirlo.

Acceso da grande speranza, era andato in Israele, portando con sé molto denaro: pensava che, con i soldi, avrebbe potuto ‘comprare’ la sua guarigione.

Così era andato dal re. Ma, alla fine di una storia molto curiosa, era giunto dal profeta Eliseo e, pur controvoglia, aveva fatto quello che il profeta gli aveva chiesto: per «sette volte» si era immerso «nel Giordano» e, incredibilmente, contro ogni sua attesa, si era trovato improvvisamente guarito!

Questo dono straordinario e meraviglioso aveva suscitato in lui un’immensa riconoscenza. Era tornato dal profeta e, in lui, nella sua parola e nella sua opera, aveva riconosciuto la grazia del Dio di Israele.

Così, per gratitudine, avrebbe voluto offrire un dono all’uomo di Dio, grazie al quale si era trovato guarito. Ma il profeta aveva risposto: «Per la vita del Signore, alla cui presenza io sto, non lo prenderò».

Il profeta non accetta il dono non perché non accetti la gratitudine di quest’uomo guarito. Rifiutando il dono per sé, Eliseo sottolinea che la grazia con cui quell’uomo è stato guarito viene da un Altro, viene da Dio.

Tutto questo è molto bello: in fondo, è come se il profeta suggerisse a quest’uomo straniero: è un Altro colui che tu devi ringraziare.

E, infatti, così avvenne.

Accade qualcosa di molto simile, e anzi ancor più evidente e forte, nel Vangelo. Lungo il cammino, entrando in un villaggio, Gesù incontra un gruppo di «dieci lebbrosi».

Il racconto di Luca è molto semplice, ma bello. È scandito in tre momenti: la supplica, la grazia, la gratitudine. Dietro questi tre passaggi possiamo facilmente riconoscere anche i tempi fondamentali della nostra vita.

Anzitutto la supplica.

Questi dieci lebbrosi, uomini emarginati, senza alcuna prospettiva e speranza nella vita, avendo udito che passava Gesù, fermandosi rispettosamente «a distanza» da lui, lo invocano, lo supplicano: «ad alta voce», con forza.

È la forza della disperazione. È la forza di chi, avendo perso tutto, vede all’improvviso una piccola luce nel tremendo buio della sua vita.

Da qui la supplica, l’invocazione: “Fa qualcosa per noi”. È una preghiera spontanea, che nasce dalla malattia, dal bisogno, dall’estrema povertà.

È proprio nei momenti più difficili che, con estrema chiarezza, in ciascuno di noi sgorga sempre una supplica, un’invocazione. Nella malattia, l’attesa della guarigione. Nella povertà, la speranza di una vita dignitosa. Nel buio, l’attesa della luce. Nella debolezza, la forza …

Il secondo momento del Vangelo è la risposta di Gesù. È immediata, ma nello stesso tempo un po’ strana, la sua risposta: «Andate a presentarvi ai sacerdoti».  Certo, la richiesta di Gesù era conforme alle prescrizioni della Legge. Era ai sacerdoti che occorreva presentarsi quando si veniva guariti dalla lebbra, per un discorso di tipo rituale.

Ora, dietro alle parole di Gesù si nasconde qualcosa di più profondo: lui rimanda a Dio. “È a Dio che dovete presentarvi. È a lui che dovete rendere grazie!”.

Ma ancor più, Gesù chiede a questi uomini di andare, come se fossero stati guariti, ancor prima di essere guariti.

Chiede, a questi uomini, di fidarsi della sua Parola, semplicemente, prima ancora che ci sia l’evidenza che è accaduto quel che si è domandato.

È dunque per la fede che questi lebbrosi vengono guariti. La grazia di Dio non accade senza la nostra fiducia in Lui.

La fede sa compiere cose meravigliose, perché lascia che sia Dio ad agire in noi!

L’ultimo momento di questo racconto è la gratitudine.

Dei dieci, uno solo torna indietro – quasi trasgredendo la Legge – da Gesù, «lodando Dio a gran voce … per ringraziarlo». «Era un Samaritano», quest’uomo guarito.

E Gesù sottolinea come sia proprio quest’uomo «straniero» a tornare indietro, per «rendere gloria a Dio», ringraziando lui che di quest’opera era stato il mediatore.

Qui Gesù si identifica con Dio: lui lo manifesta con la sua opera!

E allora rilancia, con un ultimo, bellissimo dono a quest’uomo samaritano: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!». “Non sei solo guarito da una malattia mortale, Sei graziato davanti a Dio per la tua gratitudine verso di lui.

Cammina, con questa gratitudine. Sarà la tua gioia, la tua speranza”.