Adozioni internazionali. Coppia adottiva RDC: il perché di quell’assurdo lunedì credo che non lo scopriremo mai

mano-bianca-manina-nera-350Per Massimiliano e Rossella inizia una nuova vita: i loro figli adottivi sono finalmente arrivati dal Congo. E mentre altre famiglie italiane aspettano i loro bambini, a Grazia raccontano tutta l’emozione di questi primi giorni da genitori. L’articolo pubblicato su Grazia a firma della giornalista Lucia Valerio, è qui riportato integralmente.

«Ci siamo svegliati più volte per controllare che i nostri figli fossero in camera, per vegliare sul loro sonno. E per guardarli ancora con una coda di quel timore che in questi tre lunghissimi anni ha accompagnato ogni nostra giornata»

E’ commosso Massimiliano Renzetti quando mi racconta la prima notte che lui e la moglie Rossella Anastasia hanno trascorso con Yvonne, 9 anni, e Patrick, 6, i bambini che attendevano dal Congo da 900 giorni. Ancora non credono di averli portati finalmente a casa, a Firenze, da qualche giorno. L’epopea di questi genitori inizia nell’agosto del 2011, quando decidono di adottare un bambino, diventati in seguito due fratellini. Presentano domanda all’associazione I Cinque Pani. “Dopo tanto girovagare tra varie organizzazioni, la psicologa e il legale di questa onlus ci avevano ispirato fiducia», dice Massimiliano. «Avevamo già l’Africa nel cuore, anche perché sapevamo che il senso della comunità li è molto più forte e che gli istituti che si occupano dei bambini hanno una buona reputazione»

L’idoneità dal Tribunale dci minori arriva nel2012 e nel gennaio 2013 la coppia dà mandato all’associazione di iniziare l’iter di adozione, come richiesto dalla legge. «Sapevamo che avremmo potuto accogliere bambini da O a 7 anni. Arrivati a questo punto, pensi: “E fatta”. Resti in attesa che l’ente ti dica come si chiamano, quanti anni hanno e tutto il resto», Nel settembre 2013, Yvonne e Patrick avevano ricevuto il cognome Renzetti e Massimiliano Rossella avrebbero potuto recarsi in Congo per portare i loro figli a casa. “Con le pratiche in  ordine il nostro entusiasmo era alle stelle. Non vedevamo l’ora dì partire per andare ad abbracciare i nostri figli e portarli a casa con noi», dice Massimiliano. E invece no. Tutto si blocca. E inizia una sorta di intrigo internazionale che diventa difficile dipanare. Divergenze tra Cai, la Commissione per le adozioni internazionali, e il ministero degli Esteri, che per un po’ si rimpallano le responsabilità, mentre nel frattempo partono una serie di interpellanze parlamentari per chiedere spiegazioni sul bocco delle adozioni da parte del Congo. Tra le motivazioni più ricorrenti, quella di irregolarità da parte di un’organizzazione che ha danneggiato tutti gli altri, portando il governo africano a bloccare le adozioni internazionali. Altre fonti dicono che agli istituti congolesi siano arrivate informazioni su maltrattamenti subiti dai bambini adottati e sul passaggio di alcuni di loro a coppie omosessuali, cosa non ammessa dal Congo. «Non avevamo notizie né dalla Cai, né dagli enti autorizzati, così per mesi interi, così per quasi tre anni», continua Massimiliano, che insieme con altre coppie ha fondato il Comitato genitori Repubblica del Congo, che in questi anni ha seguito e continua a seguire ogni passo della vicenda, anche perché sono 82 i bambini ancora attesi. «Ci è stato chiesto più volte dalla Cai di non fare troppo clamore, di non attirare l’attenzione sul mancato arrivo dei bambini e di non entrare nel dettaglio con i media. Quasi una situazione da spionaggio. Ma il perché di tutto ciò non credo che lo scopriremo mai», dice Massimiliano.

Intanto Rossella, madre in eterna attesa dei suoi bambini, affronta  un periodo difficile, fatto di frustrazione mista a sconforto. La sua sofferenza richiede l’aiuto di una psicologa per superare questi mesi bui. Fino a quando, finalmente, qualcosa si muove. Massimiliano non dimenticherà mai quella telefonata: «L’8 marzo, alle 22,30, la presidente della Cai Silvia Della Monica mi chiama e mi dice che i bambini stanno per arrivare. Ma non aggiunge altro», racconta.  Sul giorno del loro arrivo nessuna notizia per altre tre settimane.

Alle 6 del mattino del 12 aprile un aereo atterra a Roma con 51 bambini. E tra questi ci sono anche i piccoli Yvonne e Patrick. La disavventura della famiglia Renzetti potrebbe avere fine, se non fosse che per tutto il giorno non si sa dove siano stati portati i bimbi. «Solo alle 19 di sera ci chiamano per avvisarci che i nostri figli sono arrivati in Italia. Ma ancora non vogliono dirci dove li hanno portati», spiega Massimiliano.

Tutto è avvolto da un riserbo eccessivo. Timore dell’assalto dei giornalisti? O estrema cautela perché bisogna proteggere i minori? La ricerca dei piccoli è rocambolesca. Poi, nella notte, si viene a sapere che sono stati portati in una caserma.

Basta un abbraccio a Massimiliano e Rossella per dimenticare in un attimo quasi tre anni di angoscia. Il passato è alle spalle: quello che conta adesso è che Yvonne e Patrick sono a casa, a Firenze, quartiere Careggi, in una dimora con un piccolo giardino, circondati dall’affetto di una grande famiglia. Nonni, amici, cuginetti li hanno aspettati per fare festa. I bambini parlano un po’ l’italiano perché nell’istituto dove hanno vissuto, Casa Marisa a Kinshasa, gran parte del personale che si alternava proveniva dall’Italia.

«Sanno cantare perfettamente l’inno di Mameli», dice sorridendo papà Massimiliano. «Mi vengono i brividi quando penso al loro passato. Sono stati trovati che vagavano da soli per le strade di Goma da un sacerdote: Yvonne aveva 6 anni, Patrirk soltanto 3. Ma loro, dopo tutto, sono stati fortunati: oggi hanno una mamma e un papà che li amano. Invece altri bambini, troppi, non trovano un luogo sicuro e protetto in cui vivere», conclude Massimo.

Yvonne e Patrick sono stati sempre insieme. La più grande a occuparsi del più piccolo, come accade a tanti bambini di strada. Parlano anche il francese, quindi per ora la comunicazione con i genitori è un mix di varie lingue e di gesti. Patrick è affettuoso, si lascia abbracciare e coccolare, ama giocare a calcio e non vede l’ora di fare una partita con papà. Yvonne è più introversa, pacata, estremamente responsabile per la sua età, anche perché a Casa Marisa alle bambine viene chiesto di accudire i più piccoli.

«Diventare genitore all’improvviso, dalla mattina alla sera, ti cambia la vita. Avere i bimbi con noi è una gioia immensa. Ma sei attraversato anche da mille dubbi e paure. Ce la farò? Sarò un buon padre? Io e Rossella siamo euforici, come su un altro pianeta. Li tocchi, li baci, li annusi. E speri che non finisca mai questa felicità»