Ricerca delle origini. Il parere dell’esperto: “Mai da soli”

Francesco Belletti (CISF): “Si rischia di esasperare paure, fatiche, fantasie distorte”

La ricerca delle origini? I figli adottivi, qualora decidessero di intraprendere questo percorso, non vanno mai lasciati soli. È l’autorevole parere del professor Francesco Belletti, direttore del CISF (Centro Internazionale Studi Famiglia), che ha voluto trattare l’argomento con un editoriale su Noi Famiglia&Vita di Avvenire.

“Nei confronti della ricerca delle origini – ha scritto Belletti – negli ultimi decenni si è assistito ad un deciso mutamento di prospettiva, culturale e legislativo: da un meccanismo di totale separazione tra il prima e il dopo (adesso sei qui, questa è la tua famiglia al 100%, il passato non conta), si arriva oggi ad affermare la ricerca delle origini biologiche e culturali non solo come un diritto ma anche come prassi irrinunciabile, quasi un dovere. Non sorprende quindi che le associazioni Ai.Bi. – Amici dei Bambini e La Pietra Scartata abbiano voluto interrogarsi su questo tema, in collaborazione con il CISF e la Comunità Shalom, confrontandosi con il concreto vissuto di centinaia di famiglie accompagnate nell’adozione internazionale, nazionale e nei percorsi di affido”.

“La domanda sulle proprie origini – ha proseguito Belletti – e sul perché dell’abbandono è infatti sempre presente nella loro esperienza quotidiana, anche quando non viene esplicitata, anche quando i figli non evidenziano alcun interesse, anche quando il bambino è stato adottato dopo pochi giorni di vita. Dall’analisi di oltre 60 storie di famiglie emerge in primo luogo che ogni storia è talmente originale, unica ed irripetibile che nessuna ‘ricetta magica’ può o deve essere proposta. Bambini accolti in tenera età, apparentemente ignari di avere un passato diverso e figli accolti dopo otto o 10 anni, con storie di famiglie e istituti ben presenti nel cuore, pongono domande estremamente differenti, sia nei tempi, sia nei motivi e nelle emozioni che fanno emergere: rabbia, ribellione adolescenziale contro i genitori adottivi, curiosità, ricerca del senso e dei perché, voglia di riappropriarsi di una identità smarrita. In secondo luogo il vero punto di inciampo non è la domanda di sapere, ma è la paura di un segreto, il rifiuto di una “scatola nera” nel proprio passato. Per questo in tutte le storie raccolte la strategia più adeguata dei genitori è stata sempre la trasparenza, il racconto della verità, l’accoglienza della domanda, la disponibilità a condividere questa ricerca, magari anche tornando insieme nei Paesi di origine dei figli, oppure costruendo con loro album, diari e storie scritte che facessero memoria di questo passato. Insomma, la ricerca delle origini non è un nemico della famiglia adottiva, ma è certamente una grande sfida educativa, che le famiglie non possono affrontare da sole mentre sostengono i propri figli nella ricerca delle autentiche fondamenta della personale identità”.

“Per questo – conclude Belletti – si sono rivelati preziosi alleati l’accompagnamento dell’associazione, il rapporto con altre famiglie, la richiesta di aiuto anche di figure professionali (educatori, insegnanti, psicologi, ecc.). Perché da soli si rischia di esasperare paure, fatiche, fantasie distorte, che vanno invece accolte, svelate e reinserite nel vivo delle relazioni familiari. Del resto spesso proprio i figli sanno restituire serenità, come per quei genitori che, al ritorno dal viaggio al Paese di origine, si sono sentiti dire: ‘Adesso ho capito che siete voi la mia famiglia’”.