Salvador de Bahia. “Dopo 25 anni sono andato vedere come stanno i ‘miei bambini'”

brasiliana2Ha rinviato questo incontro per anni consapevole che ogni particolare doveva essere studiato e preparato prima con estrema attenzione, cura e sensibilità. Un incontro unico nel suo genere, con un’anima indifesa e vulnerabile la cui quotidianità non doveva essere stravolta, anche inavvertitamente, dalla “comparsa” momentanea nella sua vita.

Occhi che si incrociano per un’ora e mezza e si parlano capendosi al di là di ogni parola: usando un codice metalinguistico. Quello del cuore.

E’ quello che è successo a Maurizio (nome di fantasia) che dopo 25 anni di sostegni a distanza a favore di vari bambini ospiti delle case di accoglienza e centri di Ai.Bi. e padre adottivo di 3 minori (ora adulti), ha deciso che “era arrivato il momento: andare a vedere con i miei occhi come se la passano i bambini che sostieni economicamente e moralmente a distanza”.

E cosi Maurizio è salito su un aereo diretto a Salvador de Bahia, dove Ai.Bi. ha un suo centro e trattenendo il fiato, ha varcato quella soglia: al di là di quella porta c’era Julia (nome di fantasia) 3 anni intenta a giocare con gli altri bimbi della casa.

A lei, la suora (che gestisce la casa insieme agli altri operatori di Ai.Bi.) aveva detto che sarebbero passati di là dei suoi amici italiani per salutarla e giocare un po’ con lei.

Accorgimenti necessari – spiega Maurizio – per non creare scombussolamenti nella bambina. Troppo piccola per capire chi realmente fossi: meglio un amico che aveva tanto sentito parlare di lei, del suo bellissimo sorriso e dei suoi occhietti vispi e furbi e che quindi voleva salutarla. Così con estrema discrezione e delicatezza”.

E così è stato: “Julia non appena mi ha visto, mi ha scrutato…dalla testa ai piedi con molta curiosità ma per nulla intimorita. Anzi ha preso subito confidenza e condiviso con me i biscotti che stava mangiando: anche se in realtà è stato più una furbata. Perché la mia compagna le aveva fatto notare che troppi biscotti le avrebbero fatto male, e allora lei ne ha subito spezzato uno in 3 parti. Un gesto di condivisione e complicità per non essere rimproverata dalla suora del fatto che li avesse mangiati tutti”.

Maurizio e Julia giocano, chiacchierano per quasi due ore coinvolgendo anche gli altri bambini “come era giusto che fosse – dice – per non mettere a disagio Julia e non fare sentire discriminati gli altri bambini che avrebbero potuto provare gelosie e senso di competizione”.

Maurizio e la sua compagna erano il “regalo” per tutti i bambini della casa “tutti avrebbero dovuto gioire di una visita inaspettata e spensierata”.

Certo l’istinto è quello di “prendere uno di quei bimbi e portarteli via con te in Italia – confida Maurizio – ma è corretto, invece, avere sempre ben chiara la differenza tra l’essere un sostenitore a distanza di un bambino che ha dei genitori e che aiuti in quel momento difficile della sua vita, e un minore abbandonato e quindi adottabile”.

Maurizio che ha provato entrambe le esperienze essendo anche un papà adottivo, ne è pienamente consapevole. “Julia come gli altri bambini del centro ha un papà e una mamma: nel suo caso specifico il papà è in carcere e la mamma irreperibile. La speranza è che quando il suo papà uscirà dal carcere possa prendersi cura di lei”.

Ma fino ad allora ci sarà Maurizio che da lontano, con assoluta eleganza propria della discrezione e dell’umiltà di chi fa del bene senza clamori, sosterrà Julia.

Prima del ritorno in Italia, Maurizio e la sua compagna avevano un altro desiderio: andare a visitare un’altra casa, sempre a Salvador de Bahia,  dove “ci sono bambini più grandi, adolescenti con un carico di problemi e di vissuto diverso. Su di loro, gli operatori fanno un lavoro eccezionale di motivazione psicologica e professionale per evitare che una volta usciti dal centro l’unica alternativa per loro sia la strada”.

In aereo Maurizio è salito “con lo zaino vuoto, ma con il cuore traboccante di gioia pura: avevo incontrato la mia bambina