Se le adozioni diventano un caso politico

violenza-sessuale-su-bambini-genericaCi sono guerre che mettono in mano ai bambini un’arma, e con essa la morte. Ma oggigiorno ve ne sono altre ancora più infide e sofisticate, che usano i bambini come arma. Si svolgono con l’onore di rispettabili diplomazie, confortate dalla scusa di tutelare i più inermi e con il supporto di giustificazioni improbabili. In nome di un’assurda crociata che fa della fede un’arma impropria non meno dei bambini che usa, oggi la Turchia rivuole indietro quei figli orfani adottati in Occidente e, dal suo assurdo punto di vista a rischio di assimilazione culturale e religiosa.

Il governo non vuole che quelle anime innocenti vengano in contatto con delle coppie gay o cristiane, che potrebbero compromettere l’identità musulmana di quei bambini. La Russia blocca le adozioni verso America in nome della diffidenza e lo stesso fa la Slovacchia nei confronti dell’Italia, seppur temporaneamente. Adottare un figlio è una scelta coraggiosa, quasi eroica. Significa andare incontro difficoltà di ogni tipo, ma soprattutto alla consapevolezza della propria inesperienza e a una serie di contrattempi che spesso, anzi quasi sempre, è molto più lunga di quanto non ci si aspetti. Adottare un figlio è un atto di generosità cui chi è genitore biologico non può guardare che con un misto di ammirazione e speranza, il più delle volte sa bene che non sarebbe capace di fare una cosa così grande e generosa. Vi sono eccezioni, certo. Adozioni sventate quanto non malefiche. Vi sono abusi. Come ovunque. Ma l’abuso peggiore oggi lo fanno quei Paesi che dispongono dei bambini come se fossero roba loro, peggio ancora, oggetti di scambio. E li rivogliono indietro in nome di sospetti quando non nel contesto di penosissime battaglie identitarie o religiose. In tutta questa storia che in realtà sono tante storie, la cosa che più sconcerta è la trasversalità di questi casi, il fatto che coinvolgano contemporaneamente Paesi così diversi tra loro. Non è un bel segno, niente affatto: è come una epidemia dell’inciviltà che chissà dove è destinata a condurre tutti noi, bambini e adulti.

 

(La Stampa, 3 Marzo 2013)