Siria, martedì 17 marzo: “uno di quei giorni lì”

Bambini siria guerraMartedì 17 marzo è stato “uno di quei giorni lì”.

Uno di quelli in cui ti svegli, cominci a lavorare e ti accorgi subito che in Siria, nelle zone interessate dai progetti su cui lavori quotidianamente, qualcosa sta andando storto. Uno di quelli in cui ti metti a seguire lo svolgersi degli eventi e ti avvicini dal punto di vista emotivo così tanto a quello che accade, che ne resti scottato, ferito. Poi scrivi ai tuoi colleghi siriani per verificare che stiano bene e tiri un sospiro di sollievo quando ti rispondono positivamente.

«Gli aerei sorvolano la città, che Allah misericordioso ci protegga.» Leggo spesso questo messaggio sulla pagina Facebook del Centro Informazioni di Binnish, che funge un po’ da bollettino di guerra per la popolazione. Quando va bene, a questi allarmi seguono brevi note, secche ma rassicuranti: nessun danno di rilievo, nessuna vittima. Quando va male, seguono foto e video che raccontano la morte, la distruzione, la disperazione.

Come avvenuto il 17 marzo 2015, appunto. Tra lunedì e martedì, infatti, l’esercito siriano ha intensificato i bombardamenti sopra alcuni dei villaggi dove Amici dei Bambini svolge le sue attività di assistenza umanitaria, insieme al partner Syrian Children Relief. Un bambino di circa 10 anni ha perso la vita a Binnish, tre fratelli sono morti soffocati in seguito all’esplosione di un ordigno chimico, sganciato da un elicottero sulla cittadina di Sarmin.

Ho ancora negli occhi le immagini strazianti di quei tre corpicini esangui, privi di vita, trasportati d’urgenza nella clinica del paese, che peraltro è una di quelle supportate da Ai.Bi.. I medici che li appoggiano prima di qua, poi di là, uno sopra l’altro, senza sapere bene cosa fare. Anche perché, in realtà, non c’è più nulla da fare. Crudele paradosso: i genitori di questi tre fratellini non potranno piangerli, perché sono morti anche loro nell’attacco.

Poi c’è chi si affanna subito a precisare: che nell’area si trovava un gruppo di ribelli pronti per attaccare, che si tratterebbe di propaganda anti-governativa, che non si è certi sia stato utilizzato effettivamente il cloro. Sia come sia, sono sempre i civili che continuano a morire, soprattutto donne e bambini. E non c’è niente di più preciso, letale e definitivo della morte. Si può dire che è una notizia, quella dell’uccisione dei tre fratellini e dei loro genitori, che non teme smentita; una di quelle, peraltro, destinate a non avere grande risalto sui media internazionali.

E allora precisiamo, distinguiamo. Facciamolo, se può servire a qualcosa. Ma il Diavolo – dicono – si annida nei dettagli.

Questi attacchi non hanno compromesso, per ora, la nostra capacità d’azione nell’area, perché insieme ai nostri colleghi prendiamo tutte le misure precauzionali del caso; però ci fanno riflettere sulla precarietà di un contesto dove non si è mai sicuri, dove ogni giorno potrebbe essere l’ultimo, per chiunque. E nonostante tutto, non appena la cortina di polvere si posa, la gente di Binnish e dei villaggi circostanti si riversa sulle strade per ripulirle dalle macerie, per soccorrere i feriti, per riaprire i negozi, per tornare alle proprie attività. Per ripartire, in un modo o nell’altro.

Qualcuno potrebbe anche pensare che ci si possa abituare, a una vita del genere. Ma proviamo – per un attimo – a essere onesti con noi stessi e immedesimarci, calandoci con la nostra famiglia in un contesto simile. Poi chiediamoci: si può davvero vivere così?

 

Luigi Mariani
Country coordinator di Ai.Bi. in Siria

 

Ai.Bi. ha lanciato la prima campagna di Sostegno a Distanza per aiutare le famiglie siriane a restare nel proprio paese e continuare a crescere i propri figli in condizioni dignitose, nonostante la grave crisi. Cibo, salute, scuola, casa, gioco: queste le cinque aree d’intervento. Per avere maggiori informazioni sull’iniziativa e per dare il tuo contributo, visita il sito dedicato.