Tempo di Avvento: “Hai mai provato a farti toccare da Gesù in persona?”

gesuIn occasione della terza domenica di Avvento, il teologo don Maurizio Chiodi trae spunto, per la sua riflessione, dai brani del Libro del profeta Isaia (Is 35,1-6a. 8a. 10), dalla lettera di san Giacomo apostolo (Gc 5,7-10) e dal Vangelo secondo Matteo (Mt 11,2-11)

È molto bella, anche per noi, in questo tempo d’avvento, la domanda che Giovanni Battista pone a Gesù, mentre è in carcere. Sappiamo dal capitolo quattordici del Vangelo di Matteo che Erode aveva fatto arrestare Giovanni perché questi, con tutta franchezza, lo accusava di aver sposato (anche) la moglie di suo fratello Filippo, Erodiade.

Noi non sappiamo bene perché Giovanni Battista pone questa domanda a Gesù, su di lui: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?».

Giovanni, al capitolo tre del Vangelo di Matteo, aveva già dato una chiara testimonianza a Gesù, lo abbiamo ascoltato anche nella scorsa domenica di Avvento. Soprattutto, poi, nel momento del battesimo di Gesù nelle acque del Giordano, Giovanni lo aveva riconosciuto esplicitamente: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?», così gli aveva detto.

Come mai, adesso che è in prigione, Giovanni Battista sembra ‘dubitare’ di Gesù?

Davvero possiamo interpretare in molti modi il senso e il perché di questa domanda.

Certo, non possiamo però non essere colpiti da come è formulata. Giovanni chiede a Gesù stesso: «Sei tu colui che deve venire …?».

Il dubbio, la ricerca, la conferma, Giovanni la chiede a Gesù stesso. E questo è molto bello anche per noi.

È un grande insegnamento: Gesù si attesta da se stesso.  La verità del Vangelo risplende dal Vangelo stesso. Non abbiamo bisogno di persone ‘terze’ che ci confermino che Gesù è davvero «colui che deve venire».

Allora, in Giovanni Battista, questa domanda significa una immensa fiducia. Anche se Giovanni ha avuto qualche incertezza, lui si fida talmente di Gesù che è a lui che lo chiede.

Forse, addirittura, Giovanni potrebbe non avere nessuna incertezza: potrebbe, con la sua domanda, esprimere solo il desiderio che Gesù stesso gli dica di sé.

Insomma la fede di Giovanni in Gesù è un cammino, che conosce magari alti e bassi, momenti di luce o di ombra, ma è una fede che parte dallo sguardo rivolto a Gesù.

In questo modo Giovanni Battista è anche per noi un modello bellissimo di attesa del Signore Gesù. L’attesa comporta un interesse.

Questo tempo di avvento, di attesa, è per noi un’occasione propizia per chiederci quanto Gesù davvero ci interessi, quanto ci tocchi nella nostra vita.

Ci lasciamo ‘toccare’, provocare da lui, dalla sua Parola?

Quanto incide su di noi la sua presenza o la sua assenza?

Gesù è per noi uno dei tanti nostri interessi e magari nemmeno il più importante oppure davvero ci sta a cuore?

L’attesa comporta anche una ricerca e dunque una specie di ‘intermittenza’. Aspetti, ma colui che aspetti ti manca, non dipende da te se arriverà o meno, però se tu lo aspetti, lo riconoscerai quando arriva. La ricerca di Gesù non è una via diritta, chiara, dove tutto è già tracciato in modo inequivocabile: ci sono salite, discese, curve improvvise, deviazioni, ritorni all’indietro.

Questo ci ricorda l’attesa dell’Avvento: l’attesa è sempre un momento di crisi.

Forse è proprio questo il senso della domanda di Giovanni Battista: è un momento di crisi, anche per lui.

La parola ‘crisi’, che viene dalla lingua greca, letteralmente ha due significati: scelta e giudizio.

Ogni tempo di crisi è un tempo in cui siamo chiamati a scegliere, perché la direzione non è chiara; proprio come quando arriviamo a un rondò, con quattro o cinque, sei possibilità…

È allora che dobbiamo scegliere. Non possiamo girare sempre rimanendo nel rondò. Alla fine diventeremmo come ‘ubriachi’, incapaci di scegliere e di giudicare.

La ‘crisi’ è un tempo opportuno per decidere.

Qual è la risposta di Gesù alla domanda dei discepoli di Giovanni Battista?

È molto bello notare che Gesù risponde ributtando la palla a chi gli fa la domanda. Non dice in modo chiaro: si, sono io! In questo modo avrebbe nascosto una cosa fondamentale: che sta a ciascuno di noi decidere chi è lui, per noi! La fede è l’atto con cui noi ci fidiamo di lui.

Gesù, nella sua risposta, però, non si nasconde, non si tira affatto indietro. Fa’ la sua parte, fino in fondo – rimandando e rivelandosi nelle sue opere – ma poi ci dice: e adesso sei tu che devi scegliere.

Le parole di Gesù sono molto belle. Coinvolgono anche i messaggeri di Giovanni, che in qualche modo diventano i suoi stessi messaggeri: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete».

Gesù non aggiunge nulla di nuovo. Chiede a questi discepoli di testimoniare ciò che essi stessi odono e vedono.

I ‘segni’ che Gesù qui nomina, riferendoli a sé, sono gli eventi che i profeti avevano già annunciato. Lo abbiamo ascoltato nella bellissima prima lettura del profeta Isaia che, a un popolo smarrito, un popolo di sbandati, in esilio, annuncia: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio … Egli viene a salvarvi».

Il profeta annuncia una «via santa», sulla quale avrebbero camminato coloro che il Signore aveva liberato dall’esilio, per tornare con gioia e giubilo in patria, a Gerusalemme: «su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo».

Il profeta dice che in quel giorno accadranno cose meravigliose: «allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto».

Sono proprio i segni ai quali Gesù rimanda i discepoli di Giovanni. Anzi, Gesù aggiunge: «i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo», e cioè la lieta notizia.

Ecco, questo è quello che Gesù dice anche a noi: guardiamo a questo bambino che, povero tra i poveri, nasce in un paesino sconosciuto della terra.

Guardiamo alla storia di questo uomo che ci rivela la grazia e la bellezza di Dio nelle sue parole e nelle sue opere.

Guardiamo alla croce e al sepolcro vuoto, dove appare l’amore, fino alla fine, e la gloria del Risorto che ha vinto la morte.

Questo ci basta per fidarci di lui?

Ciascuno di noi, qui, deve rispondere per se stesso.

Però c’è un’ultima nota, molto bella, nella risposta di Gesù a Giovanni: «E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Qui, la cosa più importante è quel «beato».

E davvero Giovanni è tra questi beati. Anzi, Gesù stesso, subito dopo, parlando di Giovanni alla folla, tesse di lui un grande elogio: «fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista».  Eppure Gesù aggiunge che «il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».

Il regno non è questione di privilegi, ma di fede. È la fede la nostra grandezza. E questa fede è una beatitudine. Come dice in modo sovrabbondante il profeta Isaia: la fede in Dio è fonte di gioia, di giubilo, di felicità perenne: «gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto».

Perciò, dice il profeta, «si rallegrino il deserto e la terra arida».

La terra che attende, ed è come un deserto, fiorirà, sarà come un giardino irrigato.

È la presenza di Dio, in Gesù, che ci ricolma di ogni bene. Ci ricolma di gioia e di giubilo.

Nell’attesa, nella ricerca, a volte nel dubbio e nella fatica, ma senza tristezza e pianto, oltre il buio c’è la gioia, la gioia di Dio!