“Un analfabeta emotivo”: per quanto tempo un bambino può sopravvivere in una comunità educativa?

fam2Il 21 marzo si svolge a Milano l’Open day affido “Dammi la tua parola… per l’accoglienza”, un appuntamento fondamentale per ascoltare le testimonianze di quanti hanno sperimentato la meravigliosa esperienza dell’affido, di quanti vogliano avvicinarsi a questo ”mondo” e soprattutto sarà occasione per fare il punto della situazione sull’affido, quante sono le famiglie “accoglienti” e quanti i bambini che vivono fuori famiglia. E soprattutto sarà uno spazio per le famiglie accoglienti, per sentire dalla loro voce, le storie di quelle mamme e papà che hanno accolto in affido un bambino, di quanto da quel momento non solo la vita del minore ma anche la loro sia cambiata. Nel segno dell’amore.  Come la vita di Maria e Giacomo, due genitori che raccontano la propria storia in un’intensa lettera che riportiamo di seguito, integralmente.

“Un analfabeta emotivo con tanta voglia di essere felice…o di capire cosa vuol dire “felicità”. Ecco chi sembra essere (per ora) nostro figlio, arrivato da noi in adozione nazionale già grandicello e con alle spalle tanti, troppi anni di comunità. Per lui gli adulti sono gente da ‘intortarsi’ con bugie e moine, da affascinare alla svelta perché prendano in braccio lui e non un altro bambino. L’esperienza gli ha insegnato che gli adulti “non durano”: le maestre ti salutano alla fine della scuola, i volontari ti salutano dopo che ti hanno riportato in comunità, gli educatori ti salutano appena finito il turno… Tutti hanno una scadenza molto breve e quindi vale tutto pur di farsi regalare un dolcetto.

Ora gli hanno detto che finalmente ci sono una mamma e un papà nuovi che staranno con lui “per sempre”: che parola strana! Chissà che cosa pensa con la sua bella testolina? Per anni nostro figlio non è stato nell’unico ambiente sano adatto a un bambino, vale a dire una FAMIGLIA (seppur temporanea, visto che non era ancora adottabile). E i “danni” si vedono: reversibili o no, lo dirà solo il tempo. Lui non ha la più pallida idea di quali siano le dinamiche di una famiglia vera, un posto “strano” in cui non c’è la cuoca, non ci sono volontari più o meno conosciuti che ti portano a scuola, non c’è un educatore che ti sveglia e un altro che ti mette a letto e che quindi non sa se avevi pianto al mattino. In comunità non gli sono mancati i baci (dati da tante persone diverse), ma gli è mancato l’amore di una famiglia vera. Ed è mancato anche altro, visti i problemi di salute che abbiamo scoperto e che insieme stiamo affrontando, provocati da incuria e assurda disattenzione. E’ vissuto in comunità in Italia, non in un paese con poche risorse. Per anni in comunità educativa, invece che in affido familiare.

Vorremmo dire a tutti che i bambini non possono vivere a lungo in comunità, ma devono essere accolti al più presto in famiglia.

Nostro figlio ora è finalmente con noi e speriamo di riuscire a dargli tutto l’amore “stabile” che si merita, ma il pensiero dei suoi piccoli compagni rimasti là… non ci fa dormire la notte”.