Un corridoio umanitario per l’adozione internazionale

bambina solaCome è possibile che non si sia ancora creato un corridoio umanitario per incoraggiare le adozioni di quei 160 milioni di bambini abbandonati nel mondo censiti dalle Nazioni Unite? Se lo chiede la giornalista Gabriella Caramore in questo editoriale, che riportiamo integralmente, pubblicato sul periodico cattolico “Adama. Terra dei viventi”.

 

Proviamo a partire dal “bisogno” invece che dai “diritti”. Parlare di “diritti” oggi è più complicato che mai. Le nuove frontiere della ricerca, la complessità della situazione mondiale, le contrapposte tensioni ideali rendono quasi impossibile dare una definizione univoca dei “diritti” degli individui. Tant’è che – per lo più in buona fede, ma non sempre – si appellano strenuamente alla categoria di “diritto” persone di opposto parere nelle questioni etiche e di principio.

Proviamo allora a partire dal “bisogno”, certamente più facile da identificare. E dal bisogno di creature più piccole, più indifese, più a rischio del pianeta: i bambini. Quanti bambini nel mondo non hanno nessuno che si prenda cura di loro, che dia loro latte e pane, carezze e cure, gioco e istruzione, protezione e guida: tutto ciò di cui un bambino ha “bisogno” per farsi uomo o donna? L’Onu, l’Unicef parlano di cifre impressionanti: 150, 160 milioni. Come è possibile che dare a questi piccoli un nucleo familiare che li accolga non divenga per noi una priorità assoluta? Come è possibile che non ci venga in mente di creare ora, subito, dei cordoni umanitari per facilitare le adozioni da parte di chiunque abbia da donare amore e premura, dedizione e futuro? Dice un versetto del profeta Isaia: “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, sulle palme delle mie mani ti ho disegnato, le tue mura sono sempre davanti a me” (Is 49, 15-16). Se si pensa che siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio, dovremmo voler essere come lui anche nella cura dei dimenticati e degli abbandonati.

E’ probabile che, ponendo questa priorità davanti agli occhi di tutti, verrebbe indebolita l’esigenza di un figlio “del proprio sangue” a tutti i costi. E ci sarebbero forse meno occasioni perché una donna voglia dare il proprio utero – ammettiamo pure che non ci sia sfruttamente e che si tratti sempre di un “donare disinteressato” come si dona un rene, una cornea, il proprio cuore – per la gestazione di un nuovo bambino.