Vanessa e Greta, tradite dal sogno di aiutare i bambini siriani. Ma la guerra non è un gioco

vanessa greta200Dal nostro inviato (Luigi Mariani) – Le osservi stringersi dolcemente in un abbraccio, come due amiche qualsiasi, e ti si spezza il cuore, al pensiero di quanto è successo: Vanessa e Greta, le due attiviste italiane scomparse in Siria, sembrano essere finite in una vicenda più grande di loro. Perché a volte le buone intenzioni non bastano, per fare del bene, è giusto ribadirlo anche in circostanze così drammatiche: le emergenze umanitarie, specie in contesti di guerra, richiedono interventi mirati, ragionati, pianificati, ma soprattutto un’organizzazione alle spalle che abbia le capacità operative e logistiche per portarli a compimento efficacemente. Altrimenti si rischia di danneggiare, oltre che se stessi, la missione che si vuole realizzare.

Anche il coordinamento con gli altri attori presenti nell’area di riferimento (che di solito avviene sotto la supervisione delle agenzie ONU), è un aspetto importante da tenere in considerazione, ad esempio per evitare di interferire con l’operato di altre ong attive nella stessa zona, o per unire le forze e armonizzare gli interventi, a beneficio del maggior numero di destinatari possibili.

Esistono inoltre precisi criteri di sicurezza a cui le organizzazioni umanitarie internazionali devono attenersi, volti a preservare l’incolumità degli operatori dai pericoli inevitabilmente connessi a lavorare in condizioni di estremo rischio: quello che fa la differenza, in casi come questi, è poter contare sulla collaborazione di partner locali, operativi nelle aree sensibili, che siano affidabili e che conoscano bene la comunità, i suoi bisogni e le sue esigenze.

Nel contesto siriano (considerato come uno dei più complessi di sempre, dal punto di vista dell’implementazione di progetti di assistenza umanitaria), tutte queste precauzioni sono ancora più necessarie. Per questo il primo pensiero che mi è venuto in mente, nell’apprendere la notizia del probabile rapimento, è stato: “Cosa diavolo ci facevano lì?” Se c’è qualcosa, infatti, che ho imparato in questi mesi di permanenza in Turchia, dove seguo alcuni progetti di supporto alle comunità colpite dal conflitto per conto di Amici dei Bambini, è che con la Siria non si scherza. L’intera comunità umanitaria qui presente è consapevole dei rischi legati all’operare sul campo, specialmente nella zona nord-est del paese; le stesse Nazioni Unite sconsigliano vivamente agli operatori occidentali di addentrarsi in territorio siriano.

Ultimamente, in certe zone, la situazione si è fatta “calda” a tal punto, che l’accesso è divenuto proibitivo persino per lo staff interno, che lavora per le ong locali; stando ad alcune voci che mi sono giunte, sono diverse decine i volontari siriani scomparsi nelle ultime settimane, nel quasi totale silenzio dei media.

Quella di Aleppo, poi, dove si sono perse le tracce delle due ragazze, è una delle aree più delicate in assoluto, perché intorno alla città un tempo più popolosa della Siria, il motore economico della nazione, si sta ora consumando una battaglia feroce, che vede convergere le tre principali forze in campo: l’esercito governativo a sud, le milizie di opposizione a nord-ovest e il famigerato IS (o Stato Islamico, ex ISIS), a est. All’interno degli stessi gruppi di opposizione, peraltro, i rapporti si stanno deteriorando, compromettendo alleanze e coalizioni interne e contribuendo a destabilizzare ulteriormente l’area. Non è un caso che la crisi di Aleppo sia al centro di uno specifico piano di risposta elaborato dalla comunità umanitaria presente in Turchia, con diverse ong che, in vista di un possibile assedio della città da parte del regime, hanno cominciato a intensificare l’invio di aiuti umanitari, secondo precisi criteri di sicurezza e ripartizione delle risorse a disposizione.

In questo mosaico alquanto complesso di rapporti di forza e contrastanti interessi, s’inserisce la vicenda delle due attiviste italiane, che – forse ignare della reale situazione di pericolo cui andavano incontro – sono finite dritte dritte nella tana del lupo. Si dice anche che le ragazze, per entrare in Siria, siano passate attraverso il campo profughi di Atme, il che significa – con tutta probabilità – che devono aver varcato il confine attraverso uno dei cosiddetti passaggi “alternativi”, assumendosi un rischio ulteriore. I controlli da parte delle autorità turche, infatti, sono assai rigorosi: ufficialmente, solo agli operatori occidentali di organizzazioni registrate in Turchia sarebbe consentito entrare in Siria dai due checkpoint ancora aperti. Per tutti gli altri – a meno di avere i contatti giusti – è pressoché impossibile. In un caso o nell’altro, senza una preparazione adeguata, i rischi che Vanessa e Greta potessero finire nei guai erano purtroppo molto alti.

Le due ragazze, a quanto si apprende, si sono attivate con grande passione, negli anni scorsi, per sostenere la causa siriana e portare aiuti alla popolazione, anche nelle zone dove Ai.Bi. è presente con i suoi progetti, come l’area rurale intorno a Idlib. Si sono impegnate in prima persona, raccogliendo i fondi necessari a realizzare piccole operazioni umanitarie, ma senza disporre di una struttura adeguata e delle conoscenze necessarie a supportare la realizzazione di missioni in un contesto così difficile come quello siriano.

A spingerle è stato certamente uno slancio idealistico autentico, misto a una certa dose d’incoscienza giovanile. Chi le conosce, non fa che ripetere che erano spinte unicamente dal desiderio di condividere le sofferenze dei siriani, in particolar modo dei bambini. Purtroppo, però, la generosità e la bontà non sempre pagano, in questo mondo popolato da gente senza scrupoli. Gli esempi di persone genuinamente animate dalla volontà di fare del bene e finite nel mirino d’individui spietati e senza cuore sono numerosi, purtroppo: padre Dall’Oglio, scomparso anch’egli in Siria da poco più di un anno, è uno dei più famosi e recenti.

Tanti commentatori, impietosamente, si scagliano ora contro le due ragazze, la cui liberazione – dicono – graverà sulle tasche dei cittadini. Di certo, giudicare è sempre facile, quel che è difficile è esercitare un po’ di carità e compassione umana: in fondo, Vanessa e Greta sono state tradite dal loro stesso sogno di aiutare la popolazione siriana. Avrebbero dovuto sicuramente evitare di addentrarsi in un’avventura così rischiosa, per amore di se stesse, dei propri cari e della stessa missione che andavano ad affrontare, avvalendosi del supporto di organizzazioni più preparate, ma non intendevano certo nuocere a nessuno. E siamo certi che, quando torneranno, sapranno far tesoro di questa esperienza, e convogliare le loro energie e il loro entusiasmo nella giusta direzione.

Il mio pensiero e le mie preghiere, ora, sono per le famiglie di queste due giovani ragazze: spero che la situazione si risolva per il meglio. E chissà che un giorno non ci sia modo di conoscerle di persona e magari lavorarci insieme, con lo stesso obiettivo comune: portare un po’ di aiuto e speranza alle tante famiglie siriane colpite da questa terribile guerra.