Utero in affitto. Mamma surrogata rivuole la figlia: il Dna è del marito

Mater semper certa est, pater numquam”. La saggezza dei latini non aveva fatto i conti con la seminazione in vitro, l’utero in affitto e il commercio dei gameti. Pratiche che, al giorno d’oggi, possono riservare sorprese a chi programma e prenota ‘un figlio come merce di un catalogo. Ne sa qualcosa una coppia gay olandese che ha dovuto restituire alla madre surrogata la bimba di due settimane avuta con la gestazione per altri.

A raccontare la storia è Marco Guerra nelle colonne de La Verità pubblicata oggi 08 giugno e che vi riportiamo nella sua versione integrale.

I due aspiranti papà hanno riconsegnato la neonata dopo che i test del Dna, necessari a finalizzare l’adozione, hanno rivelato che la bambina non aveva un legame biologico con nessuno dei due uomini. La piccola è risultata invece figlia genetica della madre che l’ha portata in grembo e del marito, sebbene la donna si fosse impegnata ad avere solo rapporti sessuali protetti per non compromettere il processo di inseminazione necessario alla gpa (gestazione per altri).

A settembre la donna, che aveva già tre figli, si era sottoposta, dietro lauto compenso, all’inseminazione artificiale con lo sperma dei due uomini, uno dei quali sarebbe quindi stato il padre biologico del nascituro. Lo scorso 8 maggio è stata la volta del parto al quale hanno assistito i due uomini, che poi hanno immediatamente preso in custodia la bambina. Merita considerazione il fatto che in Italia sono in vigore ordinanze che vietano ai canili comunali di allontanare i cuccioli dalle mamme prima di 6o giorni dalla nascita, per evitare traumi agli animali.

Ad ogni modo, dopo aver passato due giorni in ospedale, la coppia gay riesce a portare a casa la piccola, ma arrivato il momento di finalizzare l’adozione la donna e il marito esprimono davanti al giudice la volontà di riprendersi la figlia che, dal test del Dna, risulterà avere il patrimonio genetico di entrambi. In realtà, come hanno poi raccontato i due committenti, la madre sembrava tradire dubbi sull’adozione già nelle ultime settimane di gravidanza.

Tuttavia aveva sempre garantito di voler onorare l’accordo.

Certo, gli affari sono affari, ma i figli, si sa, so’ piezz ‘e core anche per le mamme dei Paesi Bassi. La vicenda si conclude così sabato 20 maggio, quando gli assistenti sociali bussano alla porta per prendere la bambina e riportarla ai suoi genitori.

Come genitori gay, in realtà non abbiamo diritti”, hanno lamentato i due uomini raccontando alla stampa olandese l’emozione di essere stati padri per 13 giorni. “Siamo completamente stravolti”, ha affermato, “non sappiamo cosa fare. Ci sembra che mesi delle nostre vite ci siano stati rubati, i soldi che abbiamo perso, i nomi che volevamo dare alla bimba e ovviamente lei, la piccola.Ci mancherà”.

La vicenda ripropone tutti i dubbi e i rischi, umani e perfino economici, di una pratica che trasforma ogni desiderio in diritto e la vita umana in oggetto di mercimonio. L’unico modo per evitare che un bambino venga programmato fin dal suo concepimento come un orfano di madre, anche alla luce di episodi come questo, sembra essere un divieto a livello transnazionale, che impedisca pratiche di turismo. Ed è proprio grazie all’emergere di casi come quello descritto che il dibattito sull’utero in affitto sta scuotendo anche gli ambienti dell’attivismo omosessuale. Nei giorni scorsi, il direttivo nazionale di Arcilesbica ha dichiarato la sua contrarietà alla maternità surrogata. Una presa di posizione che ha messo l’associazione delle lesbiche in aperto contrasto, con altre sigle Lgbt italiane.