Gesù non ci annulla. Al contrario, valorizza le nostre capacità chiedendoci di andare oltre

gesù va in galileaIn occasione della III Domenica del Tempo Ordinario, la riflessione del teologo don Maurizio Chiodi prende spunto dai brani del libro del profeta Isaia (Is 8,23b-9,2), della prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 1,10-13.17) e del Vangelo secondo Matteo (4,12-23)

 

Con questa terza domenica del ‘tempo ordinario’, finalmente cominciamo la lettura continua del Vangelo di Matteo, che durerà tutto l’anno liturgico – eccetto il tempo quaresimale e pasquale – fino al prossimo avvento!

La pagina che abbiamo letto oggi, pur essendo al capitolo quarto, sembra proprio un inizio. È come se Gesù ‘voltasse pagina’.

Dopo il resoconto del Battesimo di Gesù e delle sue ‘tentazioni’ nel deserto, Matteo dice: «si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao».

Tre verbi: «si ritirò» … «lasciò … e andò …», per dire un distacco e, appunto, l’inizio di qualcosa di assolutamente nuovo.

Questo modo di agire, da parte di Gesù dice la sua eccezionale consapevolezza. Sta accadendo qualcosa di nuovo, di inaudito, di assolutamente singolare. È Dio che entra nella storia dell’umanità, muove i suoi passi, decisi e liberi, in questo mondo.

Allora noi dobbiamo proprio guardare con attenzione quello che sta accadendo. La storia umana non è un eterno ritorno, dove non accade mai nulla di nuovo, tutto si ripete uguale, come il ciclo di una ruota che gira sempre su se stessa.

Questo bellissimo inizio, che si annuncia in quei tre verbi molto decisi, non è però una ‘rottura’. Al contrario, è un compimento.

Il Vangelo di Matteo sottolinea come tutto questo accade «perché si compisse ciò che era stato detto». Segue, poi, la citazione di un passo del profeta Isaia, riferito a un luogo preciso, quello nel quale Gesù va ad abitare: il territorio di Zabulon e di Neftali, dove c’è Cafarnao, un paese collocato «sulla riva del mare», e cioè la via che, dall’interno dell’Asia Minore, la Siria, arriva fino al Mar Mediterraneo.

Perciò la Galilea viene chiamata «Galilea delle genti», perché in quella terra transitavano tutti coloro che «oltre il Giordano» andavano verso il mare.

Terra di confine, terra di passaggio.

È lì che, come dice Isaia nella citazione del Vangelo, e soprattutto nella prima lettura che è il testo del profeta, è lì che «il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce». Ecco, il profeta annunciava Dio come «luce» che rifulge «su coloro che abitavano in terra tenebrosa». Così appare la terra a questo profeta: tenebrosa, avvolta nel buio, nelle tenebre, in un’«ombra di morte», dice Matteo, riprendendo la traduzione greca dei ‘Settanta’.

Così continua ad apparirci, anche oggi, questa nostra terra: «regione e ombra di morte».

La tenebra è un’immagine, una figura del male: chi fa il male, infatti, cerca di nascondersi, cerca il buio; non vuole farsi vedere … anche se poi, magari, alla fine viene scoperto.

Ma molti la fanno franca. Nessuno si accorge del male che fanno: quanti furti, ingiustizie, menzogne, violenze, rimangono seppellite nell’oscurità, nelle complicità.

Noi in Italia abbiamo una parola – purtroppo conosciuta in tutto il mondo – per dire questo clima di omertosa complicità: mafia! Ma così è dovunque, purtroppo, anche se in modo più o meno tragico!

La cosa straordinaria, però, anzi la cosa bella è che in queste tenebre il popolo «vide una grande luce».

E questo, dice ancora il profeta, diffonde finalmente la gioia e la letizia: «hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia». La luce, che sconfigge le tenebre, moltiplica la gioia di vivere e ci fa gustare la letizia.

È ancora possibile sperare: perché la luce splende nelle tenebre e così le scioglie, le fa battere in ritirata, le sconfigge.

Dopo queste immagini ’visive’, il Vangelo di Matteo, con una piccola frase, sintetizza tutto il discorso, tutte le parole di Gesù: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».

Sono queste le parole con cui Gesù «cominciò a predicare e a dire».

Matteo sottolinea questo inizio, che è carico di novità e dunque, per noi, di speranza: «cominciò …».

Delle parole di Gesù, ciò che è più importante è nella subordinata che comincia con il ‘perché’. Perché dobbiamo convertirci? «Perché il regno dei cieli è vicino».

«È vicino», qui, non significa che sta arrivando, ma non è ancora qui. Al contrario: si fa vicino, dunque è già qui, il regno dei cieli.

Con questa parola «il regno dei cieli», cioè regno di Dio – perché Matteo, come tutti gli ebrei, non pronuncia qui il nome di Dio –, con questa piccola frase di Gesù Matteo ci dà il cuore e il culmine del Vangelo: Dio è in mezzo a noi e opera tra noi, con la sua forza, con il suo potere, che è un potere di amore e di luce, un potere di liberazione e di pace.

È un potere che salva! Non è un potere che schiaccia e opprime.

Per questo Gesù dice di ‘convertirci’ a questo venire di Dio. Ci chiede di ‘girarci’ verso di Lui. L’immagine di ‘convertirsi’ è molto bella.

Tante volte i nostri occhi, il nostro volto, è ripiegato su noi stessi, sui nostri problemi, le nostre difficoltà, le nostre fatiche, oppure le nostre trame, i nostri disegni occulti di male.

Troppe volte i nostri occhi sono rivolti al passato, magari un passato che ci opprime e ci rende tristi, perché è fatto di male, subìto o fatto da noi!

Tante volte i nostri occhi e il nostro volto sono troppo rasoterra, si fermano a guardare ciò che accade qui sulla terra e non si alzano verso il ‘cielo’.

Ebbene Gesù ci dice: “cambia la direzione del tuo sguardo, dei tuoi occhi. Girati verso di me. Ascolta la mia voce. Ascolta la mia parola”.

Ed è quello che facciamo quando celebriamo l’Eucarestia, quando leggiamo e ascoltiamo la Parola.

Ma queste Parole di Gesù non sono rivolte a tutti in modo generico. Sono rivolte a tutti, sono universali, in modo personale.

Così Gesù, mentre cammina da solo, «lungo il mare di Galilea» vede due fratelli che stanno gettando le reti in mare, perché erano pescatori, e li chiama.

Li chiama proprio nel momento in cui sono più impegnati, nel momento prezioso del loro lavoro. La chiamata di Gesù ‘colpisce’ questi uomini nel concreto della loro storia.

E chiede loro di convertirsi non ad un Dio generico, ma a quel Gesù che li chiama. Sono Pietro e Andrea. E poi Giacomo e Giovanni: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini».

Gesù parte da quello che questi uomini sono: pescatori. E li trasforma: diventeranno «pescatori di uomini».

Gesù non ci annienta, non ci annulla; al contrario, valorizza le nostre capacità.

Ma ci chiede di andare oltre. Ci chiede di fidarci di lui. Ci chiede di ‘andare dietro’ a lui, di seguirlo.

Ci chiede di lasciare che sia lui a indicarci la direzione della nostra vita.

A noi chiede di convertirci a Lui.

E questi quattro si fidano di lui. «Ed essi subito lasciarono le reti» ed anche «il loro padre e lo seguirono».

Cominciano a seguirlo.

Devono fare ancora molta strada. Ma ormai hanno trovato quel Gesù che non abbandoneranno più, perché lui non abbandonerà più loro!