29 km a piedi ogni giorno con il figlio sulle spalle per portarlo a scuola

papà cineseSi chiama Yu Xukang, ha 40 anni e vive nella Cina meridionale, nella provincia del Sichuan, sulle colline della città di Yibin. Non vincerà il premio Nobel e non entrerà nella storia, ma secondo il quotidiano britannico “Daily Mail” è l’uomo dell’anno. Il motivo? Ogni giorno percorre 29 chilometri a piedi con il figlio 12enne disabile sulle spalle per accompagnarlo a scuola.

Dopo il divorzio, avvenuto 9 anni fa, questo papà esemplare ha deciso di continuare a crescere da solo il piccolo Xiao Qing, permettendogli di frequentare le scuole. Sveglia alle 5 di mattina, colazione, poi 4 miglia e mezzo di cammino tra sentieri polverosi e accidentati, muretti a secco e alberi smagriti, con il figlio adagiato in un canestro di vimini tenendogli la mano per evitare che cada all’indietro, fino a Fengyi Fenxi, dove si trova la scuola. Stesso percorso per tornare a casa, poi il lavoro, quindi la seconda camminata della giornata per andare a riprendere suo figlio e rientrare definitivamente in serata. Quattro volte al giorno un tragitto di 4 miglia e mezzo che in totale fanno 18 miglia, ovvero 29 chilometri. In questo modo, fino a oggi, ha percorso qualcosa come 1.600 chilometri a piedi con il figlio sulle spalle. Continuerà a farlo, nonostante la schiena sempre più ingobbita e le gambe sempre più deboli, ma pieno di orgoglio per il proprio bambino. “è il migliore della classe – dice –  e sono sicuro che farà grandi cose. Il mio sogno è che un giorno si iscriva al college”. La sua storia è stata ripresa e raccontata anche dalle tv locali e le autorità cinesi hanno promesso di aiutarlo.

Di storie come quella di questo padre-eroe è pieno il mondo. Alcune di queste vengono raccontate in un recente film del regista francese Pascal Plisson, “Vado a scuola”: ragazzini in Kenya, India, Marocco, Patagonia che si alzano all’alba, attraversano fiumi, pianure, montagne, canyon, foreste, per riuscire a studiare. Tra loro, non mancano quelli costretti a trasportare secchi d’acqua e legna perché le loro scuole non offrono da bere e non dispongono di riscaldamento. Altri, come i giovani Masai, hanno rinunciato a essere guerrieri pur di studiare.

Tutte storie che a noi appaiono lontanissime, risalenti forse ai tempi della guerra, con protagonisti i nostri nonni e bisnonni che andavano a scuola sfuggendo alle bombe. E invece sono vicende attualissime che dovrebbero far riflettere chi oggi, nelle parti più fortunate del mondo, si proclama stanco dopo aver percorso poche centinaia di metri per andare a scuola e annoiato per aver seguito qualche ora di lezione.

 

Fonte: Corriere della Sera