Accoglienza e servizi sociali. Si lavora a una legge quadro per i minori in grave difficoltà famigliare

Paola Milani (Università di Padova): “Cambiare la mentalità secondo cui negli allontanamenti occorre escludere il ruolo della famiglia”

Nell’ambito dell’Osservatorio nazionale sull’infanzia e sull’adolescenza, riavviato ad aprile 2020 dal ministro della Famiglia del Governo Conte bis, Elena Bonetti, uno dei gruppi operativi sta lavorando a un progetto ambizioso: quello di implementare le Linee di indirizzo del Ministero del lavoro sull’affidamento familiare del 2012, e quelle sull’accoglienza in comunità e l’intervento con bambini e famiglie in situazione di vulnerabilità del 2017 per arrivare a redigere una legge quadro su tutta la materia della protezione dei minori in situazione di fragilità.

“Un riordino profondo – scrive Luciano Moia su Avvenire del welfare per i minori, dei servizi, delle strutture d’accoglienza, degli interventi dell’autorità giudiziaria (ambito sterminato), degli aspetti (fondamentali) legati alla formazione degli operatori. Tutto strettamente collegato”. Coordinatrice del gruppo è Paola Milani, docente di pedagogia all’Università di Padova, “da anni impegnata ad approfondire questa emergenza drammatica, che dal 2011 guida il Laboratorio di ricerca e intervento in educazione familiare dello stesso ateneo da cui è nato il progetto sperimentale ‘Pippi'”.

Servizi sociali e accoglienza: perché una legge quadro?

Dobbiamo arrivare a una legge quadro che – spiega proprio Paola Milani – ci metta alla pari con il resto del mondo. Noi siamo gli unici, fra i grandi Paesi europei, a non disporre di una norma che chiarisca chi fa cosa e come per quanto riguarda i minori in difficoltà. Poi, all’interno di questa legge, le Regioni potranno intervenire secondo quell’autonomia prevista dalla legge”. Bisogna partire, secondo l’esperta, dall’uniformità di intervento. “Oggi purtroppo – spiega – questo non avviene. Facciamo un esempio. Quando i servizi sociali sono chiamati a intervenire per aiutare un minore in difficoltà, devono valutare, spesso in tempi molto brevi, quale misura adottare. E cioè decidere se in quella determinata circostanza c’è davvero ‘pregiudizio per i bambini’, cioè un reale pericolo, se è opportuno procedere all’allontanamento o scegliere altri percorsi. Ecco, oggi, rispetto al modo di costruire questa valutazione, abbiamo tante ottime esperienze ma, purtroppo, non parametri comuni basati su evidenze scientifiche riconosciute a livello internazionale”.

Anche l’organico degli assistenti sociali andrebbe potenziato. Inoltre “né il corso di laurea per assistenti sociali, né quello in scienze della formazione, prevedono una preparazione specifica per operare nell’area della protezione e della tutela dei minori e, nello specifico, all’interno delle comunità d’accoglienza, con il risultato che in tante strutture operano come educatori anche laureati in psicologia e sociologia che non possono avere, evidentemente, competenze adeguate”.

“Sullo sfondo”, però, conclude la dottoressa Paola Milani, “c’è l’urgenza di cambiare la mentalità secondo cui negli allontanamenti occorre escludere il ruolo della famiglia. Le linee guida di indirizzo del ministero per le politiche sociali sono chiare: si tratta di un intervento che deve colmare una difficoltà momentanea dei genitori, nella logica di integrare le loro competenze, piuttosto che depotenziarle, escludendoli dal progetto di intervento. Si tratta di un aiuto alla famiglia non contro la famiglia. Ma questo capita raramente, perché il sostegno alla genitorialità non è previsto da nessuna legge, nonostante esista una letteratura scientifica che lo definisca in modo chiarissimo come un fattore predittivo del buono sviluppo del bambino. Solo rinforzando le famiglie e le loro reti sociali si rinforzano i bambini”.