Perché da tre anni i bambini di Chernobyl non vengono più in Italia?

Il sit-in delle “famiglie accoglienti” per chiedere di riportare in Italia i bambini di Chernobyl fermati prima dal Covid e poi dalla guerra. Uno stop doloroso a un’iniziativa straordinaria che ha accolto 700 mila bambini in trent’anni nelle famiglie italiane

“Bambini di Chernobyl” è ormai una locuzione conosciuta da tutti. Una locuzione che evoca una presenza a cui gli italiani sono affezionati, anche coloro che non ci hanno mai avuto direttamente a che fare. Queste tre parole, infatti, indicano un progetto umanitaria ormai trentennale che ha aperto le porte del nostro Paese ai ragazzi bielorussi nati dopo il disastro nucleare di Chernobyl. All’interno di questo progetto, quasi 700 mila minori sono potuti venire in Italia durante diversi periodi dell’anno per trascorrere alcune settimane ospiti di tante generose famiglie affidatarie.

Il lungo limbo dei Bambini di Chernobyl

Da tre anni, però, i “Bambini di Chernobyl” non arrivano più. Prima è stato il Covid a chiudere le frontiere, poi si sono messe di mezzo la guerra e le sanzioni a rimandare ancora il momento in cui i ragazzi potranno riabbracciare le loro famiglie italiane. Per questo, le famiglie stesse hanno organizzato una manifestazione davanti alla sede del Ministero degli Esteri, a Roma nella giornata di lunedì 19 settembre.
I genitori affidatari hanno chiamato questi bambini i “bimbi nel limbo”, una definizione che Ai.Bi. ben conosce, avendola utilizzata addirittura come slogan per la Tessera Associativa del 2022 con riferimento a tutti i bambini che, nel mondo, sono in attesa di una nuova famiglia.
Ben rientrano nella categoria, purtroppo, anche i Bambini di Chernobyl, bloccati da ormai tre anni per questioni completamente indipendenti da loro. E se davanti al Covid si poteva anche giustificare la cautela, oggi questi ragazzi appaiono proprio come le vittime collaterali di un conflitto che di certo non hanno voluto. “Per loro è traumatico non poter più venire – è la dichiarazione riportata da Redattore Sociale di una mamma che dal 2018 ospita due fratelli che vivono a 200 chilometri dalla centrale nucleare e che era tra le persone al sit-in di Roma. In Bielorussia vivono in una casa famiglia, con una signora che li tratta bene, ma venire in Italia per loro è un’altra cosa. Dimentichiamo spesso che queste accoglienze sono nate per far respirare letteralmente un’aria nuova ai ragazzi nati in un luogo ad alto tasso di inquinamento, che non possano più venire è veramente assurdo. L’Italia era all’avanguardia su questo progetto, oggi non c’è alcuna volontà politica di farlo ripartire”.

La generosità delle famiglie non manca, serve la volontà di sbloccare la situazione

Le famiglie chiedono di sbloccare la situazione e di poter organizzare dei voli umanitari, che sono consentiti nonostante le restrizioni e le sanzioni in atto. Ma senza un dialogo tra le autorità dei due Paesi e, soprattutto, senza la volontà di riuscire a riprendere questo splendido gesto di generosità, la paura di non rivedere più in Italia i Bambini di Chernobyl cresce ogni giorno di più.