Elisabetta ed Enrico: “Perché vogliamo accogliere un minore profugo di Lampedusa?”

piano-famiglie-2010«L’accoglienza è un’impronta che ho ricevuto da mia madre e che ha condizionato il modo mio, ma anche di mia sorella, di concepire la famiglia come un nucleo d’amore aperto». E’ con queste parole che Elisabetta Tatti spiega la sua disponibilità ad accogliere uno dei profughi minorenni, sopravvissuti al naufragio di Lampedusa.

Insieme al marito Enrico, hanno alle spalle un bagaglio umano, culturale e professionale straordinario. Lui ex educatore in comunità per minorenni, lei educatrice di scuola materna. Appena sposati, hanno preso un bimbo in affido, poi hanno adottato un figlio che oggi ha cinque anni. Intanto la secondogenita è arriva quattro anni fa dalla pancia.

Mamma appagata, Elisabetta sottolinea: «E’ rimasto forte in noi il desiderio di accoglienza, per questo siamo alle prese con un percorso di formazione per aprire una casa-famiglia». Ma subito chiarisce: «Noi siamo qui a braccia aperte, pronti ad accogliere qualsiasi bambino che dovesse arrivare, e che hanno bisogno di sicurezza, del calore di una famiglia. Ma non è certo una pretesa. Se Dio ha altri progetti, andrà bene lo stesso».

E non sbaglia nel suo eccesso di cautela. Perché al momento gli operatori Ai.Bi. stanno raccogliendo le 281 adesioni finora arrivate, ma poi ogni singola famiglia verrà contattata per verificare la concreta fattibilità della disponibilità fornita attraverso il modulo compilato.

Mentre Elisabetta descrive con gioia la sua infanzia, trascorsa a giocare con la sorella e con altri quattro bimbi, tra loro fratelli, che i genitori avevano preso in affido, inanella anche la storia presente di sua sorella, a sua volta mamma biologica e adottiva di due bimbi, uno dei quali con handicap grave. E sorridendo, aggiunge: «Quando ho raccontato a mia madre che avevo dato la disponibilità per il progetto ‘Bambini in alto mare’, dedicato ai piccoli profughi di Lampedusa, mia madre dall’alto dei suoi quasi 70 anni, mi ha chiesto di slancio: – Ma non posso partecipare anch’io?».

L’accoglienza è una linfa vitale, sottolinea più volte la giovane mamma. Ma per esser tale è determinante poter contare soprattutto su una rete familiare. Elisabetta chiarisce: «E’ importante sapere per esempio di poter lasciare dai nonni i bambini, perché sai che i tuoi genitori non fanno differenze, li amano tutti come fossero nipotini loro. Li vivono come li vivi tu». Non nega le difficoltà che magari un affido richiede, ma Elisabetta assicura: «E’ incalcolabile il dono che riceve tutta la famiglia: i bambini che crescono vivendo esperienze di solidarietà, difficilmente si abbandonano ad atteggiamenti di bullismo o di consumismo». E chiosa: «Per il resto l’accoglienza è davvero un dare e un ricevere, è uno scambio di doni. Non lo dico io, lo ha detto Papa Giovanni Paolo II».