Addirittura la famiglia dell’anno! Ma non è assurdo ‘misurare’ l’accoglienza?

Buongiorno,

mi chiamo Maria Rosaria  e ho letto la bellissima testimonianza della famiglia Vinci.

Certo, è sempre edificante leggere una storia come quella della famiglia Vinci. E non posso negare che ne nasca nel cuore una gratitudine al Signore, visto che chiama una famiglia a questa scelta.

Tuttavia resta una domanda aperta, una perplessità: ha senso eleggere una famiglia come “più accogliente”? L’accoglienza si misura sul coraggio, sui rischi affrontati, sulla quantità? Forse Zaccheo che ha restituito tanti beni, era più generoso della vedova che ha lasciato due spiccioli?

Preferisco pensare che ogni famiglia che accoglie, qualunque ne sia la forma, i tempi, il numero, dia “tutto quanto ha per vivere”, perché quella forma, quei tempi, quel numero sono la via per la quale realizzano il sogno di Dio sulla loro famiglia. Ed ogni famiglia “celebra” in modo diverso la propria chiamata, secondo la volontà del Signore.

Cordiali saluti,

Maria Rosaria

 

 

 

riccardiCara Maria Rosaria,

è chiaro che l’elezione della famiglia “più accogliente” non si basa su un quanto o su un dove, o ancora peggio, su  un chi. Ogni famiglia accogliente è famiglia dell’anno per Ai.Bi.

Antonio e Caterina con le loro accoglienze e con la semplicità con cui hanno accolto, rappresentano tutte le altre.

Tutte quelle famiglie che, come dice il presidente Griffini, sono l’Italia migliore, quella che l’integrazione interculturale e interetnica la fa nella sua casa, nella quotidiana straordinarietà della vita familiare.

Il premio consegnato alla coppia di Messina è simbolicamente assegnato a quanti stanno rientrando in Italia dopo aver adottato cinque fratelli e a chi è rientrato dopo aver accolto un ragazzo di 13 anni, a chi ha aperto la sua casa a bambini temporaneamente allontanati dalla famiglia d’origine e a chi si mette a disposizione per un progetto di prossimità per aiutare la mamma vicina di casa nel crescere il figlio.

Il premio è per tutti coloro che credono che sia un atto di giustizia la realizzazione del diritto alla famiglia di ogni bambino.

Particolarmente significativo è il fatto che il piccolo bambino di Antonio e Caterina arrivi dal Congo, paese martoriato dal conflitto interetnico in cui i diritti di un impressionante numero di orfani di guerra sembrano venire dopo le relazioni internazionali, il ragazzo invece rappresenta quanti si imbarcano in un viaggio della speranza che spesso non trova che disperazione. Queste due realtà sono tra le emergenze che non ci dovrebbero far dormire la notte e che riusciamo ad affrontare solo grazie alla disponibilità di famiglie come quella dei Vinci.

Grazie

Cristina Riccardi

Membro del consiglio direttivo di Ai.Bi. con delega all’accoglienza familiare temporanea