A Lampedusa si torna a contare i morti: 29 migranti uccisi dal freddo.Tra i superstiti 3 minori. Ancora una volta l’Italia assiste impreparata

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Prima sono arrivati i morti, 29 in tutto, poi i superstiti, una novantina. A Lampedusa militari, operatori del Centro d’accoglienza e volontari accolgono con disperata impotenza i primi, con coperte i secondi.

I cadaveri vengono adagiati uno dopo l’altro sul molo Favaloro, solo il tempo necessario per trasferirli nell’ hangar tristemente impresso nella memoria degli isolani e non solo, dopo la tragedia del 3 ottobre 2013, costata la vita a 366 persone.

La prima strage del 2015 arriva in un giorno in cui gli addetti ai lavori non si immaginavano richieste di aiuto. Mare forza sette, vento a 35 nodi e onde alte fino a 9 metri. Improbabile che una flotta di disperati decida di attraversare il mare in queste condizioni. Improbabile, ma possibile. E così l’emergenza è scattata quando le uniche due navi d’altura, impegnate nel programma Triton, erano in manutenzione e rifornimento rispettivamente nel porto di Malta e di Augusta.

Dopo l’ SOS lanciato da un telefono satellitare lunedì pomeriggio, è toccato alle motovedette della Capitaneria di Porto soccorrere i migranti su tre gommoni alla deriva nelle acqua libiche. Sette giovani erano già morti, gli altri ventidue, uno dopo l’altro, hanno continuato a morire durante le operazioni di salvataggio.

Pietro Bartolo, guardia medica di Lampedusa, è sconvolto: «È terribile, tra loro ci sono tanti giovani. Sono tutti bagnati, sono morti di freddo». Duro il commento del sindaco lampedusano Giusy Nicolini: «I 366 morti di Lampedusa non sono serviti a niente, le parole del Papa non sono servite a niente, siamo tornati a prima di Mare Nostrum. È la realtà». Questa nuova strage «è la prova che Triton è inutile. Siamo tornati indietro».

Perché una cosa è certa. Dalla Libia si continua a partire. Le stime ufficiali di Frontex, la polizia di frontiera europea, parlano di 270mila irregolari entrati in Europa nel 2014. Di questi, 170mila sono arrivati in Italia. Dal primo gennaio 2015 sono arrivati 3.800 profughi. Che sfidano- disperati- la morte, in cerca della vita.

Il giorno dopo il naufragio solo un cadavere è stato identificato perché in tasca aveva un documento. Si tratta di un ivoriano di 31 anni. Ai superstiti, provati e sotto shock, è stato chiesto di scrivere i nomi dei compagni di viaggio, nella speranza di poter dare almeno un nome ai defunti. Tra i fortunati- tutti uomini – ci sono anche tre minori,uno dei quali ha probabilmente dodici anni.

Si ripropone ancora una volta in tutta la sua drammaticità la questione ‘accoglienza’. Lampedusa si è mobilitata, almeno una cinquantina i volontari e le famiglie accorse sul molo. Sull’isola Ai.Bi. è presente, impegnata in questi mesi a diffondere il messaggio della giusta accoglienza, quella che vede   famiglie ed operatori pronti ad accogliere chiunque arrivi dall’altra parte del Mediterraneo, nonostante una legislazione carente.

Attende di essere sbloccato il disegno di legge Zampa che incardina l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati nel ‘sistema’ dell’accoglienza familiare, temi sui quali Amici dei Bambini è da sempre pioniera.

Resta l’amaro. Nonostante l’enorme disponibilità di famiglie, quasi 2mila in tutt’Italia, l’accoglienza a misura di bambino resta di difficile attuazione. A ostacolarla diversi fattori: diffidenze culturali, burocrazia, lentezza della politica, e come accertato di recente dall’inchiesta Mafia Capitale i troppi interessi economici fatti sulle spalle dei migranti. Mentre in solitudine Ai.Bi.  ha lottato- calcolatrice alla mano- per lasciare aperta Casa Mosè, prima di arrendersi all’evidenza, c’era chi guardava a tanti disperati come alla propria miniera d’oro. Ma Ai.Bi. non demorde, e resta sempre in prima linea. Per questo la nostra associazione ha deciso di aderire all’appello congiunto di numerose Organizzazioni non governative che chiedono al Governo Italiano e all’Unione europea un reale cambio di rotta nelle politiche sull’immigrazione.